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La Fondazione Pastificio Cerere di Roma ha riaperto dopo la pausa estiva ospitando “Mvaḥ Chā”, personale dell’artista italiano Namsal Siedlecki. Presentata per la primissima volta in Italia, la mostra curata da Marcello Smarrelli propone le opere nate dal progetto Crisalidi, realizzate grazie al sostegno dell’Italian Council e precedentemente esposte al Museo di Patan in Nepal.
L’ispirazione in Nepal
Tutto in questa mostra ci parla di viaggio, di scoperta e di rivelazione. Il nucleo centrale delle opere, costituito da cinque sculture in bronzo di grandi dimensioni, è stato realizzato da Siedlecki durante un soggiorno a Kathmandu, in Nepal, nel 2017, durante il quale l’artista ha visitato diverse fonderie locali, rimanendo affascinato dal processo tradizionale di fusione a cera persa nepalese per la produzione di statue votive legate ai culti religiosi.
A colpirlo, in particolare, è stato il processo che precede il momento della fusione, in cui il modello in cera viene coperto da un composto organico tipico nepalese detto “Mvaḥ Chā”, da cui deriva il titolo della mostra: una sostanza maltosa formata da argilla, sterco di vacca e involucri di chicchi di riso. Questa sostanza differisce dal metodo occidentale, tipicamente caratterizzato dall’utilizzo di gesso refrattario e mattone triturato, rispondendo invece alla disponibilità del luogo.
Coprendo con più strati il modello della scultura in cera e impiegando lunghi procedimenti imposti dai tempi di asciugatura della sostanza, si forma un involucro spesso, che nasconde fagocitando le forme originali sottostanti, rendendole così non identificabili. Sono questi manufatti nel loro stadio intermedio a determinare le creazioni di Siedlecki, il quale sceglie di sovvertire il metodo tradizionale di lavoro attribuendo invece valore a oggetti originariamente destinati a essere distrutti.
La mostra di Namsal Siedlecki al Pastificio Cerere
Nella primissima sala, una bacchetta di grafite appesa alla parete ci introduce al metodo di lavoro impiegato: unico oggetto in grado di essere utilizzato per la mescolatura del bronzo fuso, strumento embrionale dell’atto creativo. Superando la presenza di un forno fusorio, ci viene presentato il corpus di opere costituito da 14 sculture in bronzo dalla superficie irregolare e dalla forte componente materica. Ciò che si può osservare è un insieme elegantemente austero di forme indefinite, ricche di una potente espressività primitiva a dimostrazione del potere operazionale del gesto.
Seppur allontanandosi dai precisi riferimenti anatomici originari, le opere di Siedlecki giocano con noi oscillando incessantemente tra il contatto e la distanza antropologica. La qualità astrattiva altera la persistenza antropomorfa delle statue sacre rivelandone il punto di partenza: sebbene nascosta, l’astrazione è sempre stata parte imprescindibile del processo di lavorazione e creativo delle sculture, ha sempre rappresentato un passaggio fondamentale a cui però non è mai stato riconosciuto l’intrinseco potenziale artistico. È Siedlecki a eleggere queste forme vere e proprie opere scultoree, oggetti materici avvolti da istintività primordiale il cui aspetto sacrale permane in modo latente, trasformandosi da icona a solennità artistica.
Le opere, posizionate su dei plinti a enfatizzarne le qualità artistiche, restano oggetti profondamente perturbanti, propri di un potere scardinante, poiché si inseriscono a metà strada tra le tradizionali opere di culto e le audaci sculture biomorfe del Novecento di Brancusi ed Henry Moore. Proprio come le opere «piacevoli, o strane, ostili, inspiegabili, mute o sonnolente» di Brancusi, le sculture di Siedlecki ci insegnano la sopravvivenza delle forme attraverso una forte componente anacronistica che inevitabilmente porta a una loro scomparsa.
Trattandosi di frammenti di sculture sacre, le opere coesistono tuttora con altri oggetti, offerte donate dai devoti che completano l’opera attraverso il gesto del dono. È l’atto della scelta a essere fondamentale per l’artista il quale, dopo aver per primo selezionato le forme rese opere, cede ai visitatori la possibilità di riattivare una certa ritualità, attraverso gli oggetti scelti come offerta. Dolci, uova, frutta, denaro e alcolici vengono accostati alle opere scultoree creando un efficace punto di incontro tra tradizione religiosa e reinterpretazione contemporanea occidentale.
Destinate ad allargare la Collezione del Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato, le creazioni di Siedlecki si inseriscono nel panorama contemporaneo come oggetti frutto di una sensibilità preziosa da custodire con consapevolezza. La lunga riflessione sulla processualità materica, affiancata dal rispetto e dalla curiosità verso altre tradizioni e culture, rendono questi lavori opere alchemiche che sono in grado di parlarci di come l’ignota spiritualità eserciti su di noi un magnetismo che ci seduce inevitabilmente.
[…] a una figurazione” della materia apparentemente grezza ma carica di ioni positivi e negativi, nel segno dei maestri scultori nepalesi, unici a scorgere il divino lì dove cade argilla, sterco di vacca e […]