L’estetica del male ha sempre esercitato un grande fascino e l’arte, nelle sue diverse espressioni, ha contribuito nel corso dei secoli a creare e sviluppare un’iconografia seducente del lato oscuro. Per celebrare il settecentenario dalla morte di Dante, il cui genio ha saputo plasmare, tramite le parole, l’architettura del luogo dove risiede il male per eccellenza, le Scuderie del Quirinale ospiteranno la mostra “Inferno”, curata da Jean Clair e Laura Bossi e aperta al pubblico fino al 9 gennaio 2022.
Le dieci sale del museo sono un viaggio attraverso la straordinaria rappresentazione dantesca, distillata nelle opere di artisti appartenenti a diverse epoche storiche. L’esposizione si apre, con un esplicito richiamo al celebre verso “Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate” con la grande porta dell’inferno, opera di Auguste Rodin. La monumentalità di questo modello in gesso, archetipo da cui poi furono tratti otto esemplari in bronzo, rapisce l’attenzione dello spettatore, tanto da non accorgersi quasi che sulla destra è esposto Il giudizio finale, capolavoro dipinto da Beato Angelico e conservato a Firenze, nel Museo di San Marco. L’unico rischio infatti è proprio perdersi qualcosa lungo questo percorso, un ricchissimo catalogo di storia dell’arte costellato di nomi illustri: Sandro Botticelli, Federico Zuccari, Jan Brueghel, Thomas Lawrence, Giovanni Battista Piranesi, Gustave Doré, Domenico Morelli, Anselm Kiefer. Le coordinate per orientarsi sono tematiche, la mostra analizza e illustra le possibili declinazioni dell’inferno partendo dalla rappresentazione dantesca, elaborata e tradotta in immagini da una nutritissima schiera di pittori, per finire con gli inferni moderni, artificiali, creati e causati dall’uomo: le guerre, le prigioni, l’alienazione delle periferie urbane esplose con la rivoluzione industriale. O più subdoli e altrettanto tremendi, come quelli causati dalle patologie mentali.
Le sezioni principali sono ovviamente quelle dedicate all’inferno delineato da Dante. Uno tra i più preziosi documenti in mostra è la pergamena, punta d’argento e inchiostro, dei Musei Vaticani, su cui Botticelli realizza una vera e propria mappa geografica della voragine infernale. La committenza Medici indica il grande interesse che c’era nel Rinascimento verso la rappresentazione dell’opera dantesca.
È interessante seguire l’evoluzione, nel corso dei secoli, dell’iconografia infernale e di quella relativa al suo principe, Satana. Le opere dei pittori fiamminghi del Cinquecento, legati alla cerchia di Hyeronimus Bosch, offrono una visione fantastica fatta di diavoli e mostriciattoli, buffa e spaventosa allo stesso tempo, in linea con una concezione ancora legata all’immaginazione medievale. Molto più classica la rappresentazione degli artisti italiani, come è possibile ammirare nella serie grafica di Federico Zuccari e Giovanni Stradano, in prestito dagli Uffizi. Una perla rara è la presenza di un’opera di Monsù Desiderio, l’intenso Inferno conservato a Besançon; personalità molto particolare, eccentrica e visionaria, per molti secoli ha rappresentato un rebus per gli studiosi, che solo recentemente l’hanno risolto.
La scena cambia totalmente tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, le istanze legate al Romanticismo: la drammaticità del contesto è sublimata dalla bellezza di corpi statuari ed espressioni sognanti, i personaggi più malvagi vengono rivestiti di un eroismo di stampo classico. Il monumentale Satana dipinto da Thomas Lawrence che domina la seconda sala è assolutamente esemplificativo: ispirato dal “Paradiso Perduto” di John Milton, il pittore raffigura un Lucifero possente, un peso massimo del pugilato, mentre, sconfitto ma non domo, arringa le sue schiere esortando a non arrendersi mai. Si tratta certamente dell’apice del fascino del male. Molto gettonato in questo periodo è ovviamente il tema legato al V canto e al tragico amore tra Paolo e Francesca, cui è dedicata quasi tutta la quinta sala dove è presente anche l’imponente Virgilio e Dante nel IX girone dell’inferno di Gustave Doré, la cui scena è cristallizzata intorno ai due protagonisti, con una tavola di colori freddi che riesce a rendere alla perfezione il gelo del luogo.
Come già detto però, l’inferno può avere varie declinazioni, e deve far riflettere la scelta di inserire una sezione dedicata agli inferni della mente, alle sue patologie: la Pazza di Giacomo Balla è di una forza visiva straordinaria, sicuramente uno dei pezzi più suggestivi in mostra.
“E quindi uscimmo a rivedere le stelle”: il verso conclusivo dell’Inferno di Dante trova il suo corrispettivo nell’ultima sala di Scuderie del Quirinale. Una sezione dedicata agli astri, dove spicca la tela di Anselm Kiefer, Sternenfall, dove la meraviglia di un cielo notturno forse attenua per un momento l’inquietudine del personaggio che lo sta contemplando, ma non la cancella. Così come non elimina gli orrori dei diversi inferni, quelli ultraterreni, quelli artificiali, e anche quelli privati che ognuno porta dentro di sé.
Le Scuderie del Quirinale hanno confezionato un omaggio a Dante molto bello e anche la scelta di concentrare l’attenzione solo sull’inferno, con relative piccole polemiche, si è rivelata corretta per diversi motivi: in primo luogo, per rappresentare l’immaginario scaturito dall’intera Commedia sarebbero serviti almeno il doppio degli spazi, e poi perché in questi settecento anni l’attenzione degli artisti è stata enorme proprio nei confronti dell’Inferno, grazie alla varietà di espressione che il luogo e le sue storie offrivano.
E poi, non sarà certo entrare in un museo ad aiutare il lato oscuro a trionfare.
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