Categorie: Mostre

Daniel Buren arriva a Pistoia con una grande mostra. E trasforma lo spazio pubblico

di - 27 Marzo 2025

Quando Daniel Buren (Boulogne-Billancourt, Francia, 1938), ha esposto il grande telone baiadera in mezzo all’atrio del Guggenheim Museum di New York, gli è costato l’esclusione dalla Guggenheim International Exhibition del 1971: lo spazio era stato trasformato a tal punto che l’enorme tela impediva la visione delle opere degli altri partecipanti. L’arte di Buren trasforma gli spazi architettonici attraverso forme, colori e materiali. Oggi, quegli enormi teloni sono esposti alle finestre dell’Antico Palazzo dei Vescovi di Pistoia e a Palazzo de’ Rossi, sposandosi perfettamente con l’architettura circostante rappresentata dai marmi bianchi e serpentini del romanico lineare che non si offende per la compresenza di un manufatto simile nei motivi, ma non nei materiali.


Photo-souvenir: Vista della sala dei Dipinti, 1965, collezione privata, Parigi. Particolari. Courtesy Fondazione Pistoia Musei, foto OKNOstudio, Ela Bialkowska © DB – SIAE Roma

Fare disfare rifare: Buren a Pistoia

Buren, curatore dell’esposizione insieme a Monica Preti, anticipa già dal titolo i temi della mostra. Il fare è l’azione creatrice dell’artista, plasmatore della materia; il paradosso delle infinite possibilità di creazione volge Buren verso il disfare, in un’azione di confinamento o scomposizione che crei qualcosa di nuovo. Si disfano concettualmente le grandi tele che diventano puri colore e striatura, per essere ricomposte dal visitatore attraverso il movimento e il gioco di percezione degli spazi. In questo contesto si concilia anche il rifare, che non è solo una riproposizione di opere precedenti, ma una loro risignificazione con cui Buren ci invita a riflettere su opere storiche della sua produzione situate in ambienti diversi, messe in discussione e rielaborate. Per evidenziare questo aspetto, in mostra si sottolinea la differenza tra opera in situ e opera situata: le opere in situ sono state realizzate per un evento o per un luogo specifico e, dunque, sono modellate in simbiosi con un determinato ambiente, in funzione del contesto che le ospita; le opere situate possono essere state create seguendo l’idea di uno spazio, che può riflettersi a sua volta in molti luoghi diversi, ed è, dunque, trasferibile. Questa differenza condiziona per Buren la necessità di poter collocare o meno un’opera all’interno di un determinato contesto.


Photo-souvenir: Prismes et miroirs : hauts-reliefs, lavori situati, 2022, collezione privata, Parigi. Particolari. Courtesy Fondazione Pistoia Musei, foto OKNOstudio, Ela Bialkowska © DB – SIAE Roma

La luce al colore e il colore alla luce

Grazie a questo binomio è possibile ammirare opere quali Triptique Electrique Orange che ripropone un’opera presentata alla Biennale di Parigi del 1967 ed evidenzia un altro aspetto importante per la pratica di Buren: il legame con la luce. Se a livello scientifico è proprio grazie alla luce che è possibile definire e differenziare i colori che ci circondano, Buren ci porta ad analizzare questo concetto scomponendo le opere nelle varie sale, come se esplorassimo le fibre delle tele nel momento in cui si compongono: nella corte interna, i giochi tra colori e riflessi dell’installazione Découpé/Étiré creano un incontro puramente prospettico tra le cornici della struttura a croce, percorribile, che si intersecano tra loro come delle matrioske, risolvendosi in un unico piano.

L’assenza del riflesso su piano: la trasparenza

Arlecchino all’infinito, opera del 2025, è il punto di incontro tra luce, colore e trasparenza: quest’ultimo elemento è presente in tutto il percorso, ad esempio nella Cabane éclateé, una struttura mostrata senza celare lo spazio esterno, ma che si fonde con esso poiché priva di una determinazione cromatica propria. In Arlecchino all’infinito la trasparenza dei colori dà loro la possibilità di espandersi nello spazio e mescolarsi in una struttura le cui impalcature contribuiscono, attraverso una fitta rete di specchi, a moltiplicarsi all’infinito. Lo spazio diventa pura esplorazione: ciò che vediamo è reale in quanto determinato come tale dalla nostra percezione. Chi decide quanta porzione di spazio è ancora percorribile e quanta, invece, è mero riflesso di qualcos’altro? Nelle sperimentazioni video Buren mette alla prova la nostra capacità di creare una cornice agli elementi, di distinguerli o meno come oggetti altri da quello di partenza, semplicemente in quanto proiettati su un altro dispositivo: cinque schermi riproducono frammenti di un telone, in un modello di ritrasmissione simultanea uno a uno, mostrando la parte “mancante” alla vista dello spettatore.

Questo cangiare della percezione è intervallato dalla precisione geometrica che caratterizza le sue opere: le righe di ogni telone sono esattamente a 8,7 cm di distanza l’una dall’altra, le grandi opere in situ, testimoniate dai molti disegni esposti, sono l’ulteriore testimonianza di questo ordine “geometrico”, dove, tuttavia, fa capolino un elemento naturale antitetico: l’acqua. Che sia la riqualificazione di una piazza o una committenza privata, Buren sembra essere affascinato dall’elemento fluido, che acquista le proprietà e le forme di ciò che lo ospita, in una fase di geometrizzazione e incorniciamento temporanei, completamente percettivi, labili e trasparenti, come i riflessi specchianti del percorso, come le opere di Buren: «un processo che si rinnova costantemente.»

Photo-souvenir: Triptyques électriques, lavori situati, 2014, collezione privata, Parigi. Particolari. Courtesy Fondazione Pistoia Musei, foto OKNOstudio, Ela Bialkowska © DB – SIAE Roma
Photo-souvenir: Peinture aux formes variables, 189,5 x 190,5 cm, ottobre 1965, collezione privata, Parigi. Particolare. Courtesy Fondazione Pistoia Musei, foto OKNOstudio, Ela Bialkowska © DB – SIAE Roma

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