24 settembre 2023

Danza, teatro e poesia nelle opere di Suzanne Jackson alla GAM Milano

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L’artista americana delle “anti-canvas” è la protagonista di Something in the world, mostra che fa capo al progetto Furla Series della Fondazione Furla e che avrà luogo fino al 17 dicembre 2023

Suzanne Jackson, In A Black Man's Garden, 1973. Acrylic wash and graphite on gessoed canvas, triptych, 272,4 × 210,8 × 3,8 cm each. Courtesy of the artist and Ortuzar Projects, New York

La GAM Milano è teatro del terzo capitolo della collaborazione pluriennale siglata dal museo milanese con Fondazione Furla nel 2021. Dopo l’inaugurale Misfits, che vedeva protagonista Nairy Baghramian, e l’esposizione dello scorso anno sull’opera di Andrea Bowers, dal titolo Moving in Space without Asking Permission, è il turno di una mostra che ripercorre i diversi momenti della produzione artistica di Suzanne Jackson. Originaria del Missouri, l’artista cresce nei territori dello Yukon, oggi Alaska, e studia arte e danza in California. Dopo aver aperto il proprio studio d’artista a Los Angeles, consolida la propria posizione quale membro di spicco della scena culturale underground al punto da iniziare a esporre gli artisti del proprio circolo. E in particolare le artiste di colore, uno dei motivi per cui la Gallery 32 diviene il principale punto di riferimento della comunità locale.

Suzanne Jackson. Ph. Timothy Doyon, 2021

La mostra milanese ospita ventisette opere della Jackson, dislocate in cinque sale decorate a stucco in cui rimandi alla cultura classica dialogano con la contemporaneità dei lavori dell’artista statunitense. Curata da Bruna Roccasalva, l’esposizione è suddivisa in nuclei tematici e non segue un ordine cronologico. È la stessa Jackson che ha definito il proprio lavoro una «Restituzione della sua esperienza, nel mondo e del mondo». Sebbene gli oltre cinque decenni di produzione pittorica e scultorea dell’artista di St.Louis siano strettamente correlati a vicende personali che incidono sul suo modo di raccontare il mondo, è altresì immediato comprendere come le diverse fasi si intreccino e si mescolino fino a confluire l’una nell’altra. 

Suzanne Jackson, 9, Billie, Mingus, Monk’s, 2003. Acrylic on layered canvas, flax and scenic Bogus papers, linen, tissue, nursery burlap, produce bag netting and wood, 152,4 × 183 × 15,2 cm. Courtesy of the artist and Ortuzar Projects, New York

La prima sala si apre con un omaggio a Yemaya, dea madre protettrice delle donne e regina degli oceani e dei fiumi nella tradizione Yoruba. Ma-yaa è sintesi di un percorso decisivo che porta la Jackson all’astrazione, come si evince da 9, Billie, Mingus, Monk’s (2003), installazione antistante rispetto alla “Grande Madre”. Le composizioni astratte della Jackson consistono in stratificazioni di colori e materiali. Carte di diversa provenienza (da imballaggio, carta velina e carte giapponesi) vengono sovrapposte fino a divenire al contempo contenuto e struttura. Questo processo raggiunge il culmine in Singin’, in Sweetcake’s Storm (2017), opera in cui Suzanne Jackson stratifica materia acrilica trasparente e inserisce reti di alimenti, tessuti, gusci di pistacchio e altri elementi inusuali. 

Suzanne Jackson, Dance, 1984. From Idyllwild leaves series. Acrylic on paper, 28,7 × 36 cm. Courtesy of the artist and Ortuzar Projects, New York

La seconda sala è un omaggio alla natura, di cui la Jackson studia le infinite variazioni di luce e colore. La serie presentata alla GAM (Idyllwild Leaves, 1982-1984) è incentrata sulle foglie, talvolta raffigurate in maniera quasi espressionista grazie all’utilizzo di colori acrilici intensi e vivaci. Dieci lavori su carta e due acrilici su tela in cui il soggetto principe diviene la natura, soggetto mutevole e che offre all’artista la possibilità di indagare partendo dall’analisi di un singolo elemento. La sezione è corredata da altre due opere che sottolineano la simbiosi totale tra uomo, natura e spirito. Tra figure femminili stilizzate e materiali di riciclo come la Bogus paper (recuperata sui set teatrali), l’arte della Jackson si avvicina ad una sorta di panismo che anticipa l’eliminazione quasi completa del supporto pittorico che si riscontra nelle opere delle sale attigue. 

Suzanne Jackson, Quick Jack Slide, 2021. Acrylic, acrylic detritus, wicker chair parts, ribbon, bells, string on D-rings, 119,5 × 86,5 × 122 cm. Courtesy of the artist and Ortuzar Projects, New York

Le sezioni successive mettono in luce altri aspetti della poetica della Jackson. Dal monumentale trittico In a Black Man’s Garden, realizzato tramite una pittura ad acrilico simile all’acquerello, alla sperimentazione scultorea dell’artista in opere come Red Top e Quick Jack Slide, nelle quali l’inserimento di elementi di recupero conferisce plasticità e leggerezza a opere che sembrano fluttuare in aria. Future forest è la sintesi di questa ricerca. Il focus della Jackson non è più la pittura, che diviene rivestimento, bensì il carattere scultoreo, a dimostrazione della volontà dell’artista di muoversi tra linguaggi dissimili. La mostra si chiude con le “anti-canvas”, produzione più recente della statunitense. In queste “Astrazioni ambientali”, l’utilizzo di materiali di recupero e l’assegnazione di un ruolo rinnovato alla pittura come mezzo che conferisce struttura alle opere aiutano a comprendere la dimensione sociale di una ricerca apparentemente fondata su contrasti di luci, spazi e forme. Un’indagine che mira piuttosto a fornire un’esperienza sensoriale: emergono finalmente l’importanza che l’artista attribuisce alla responsabilità sociale e l’interesse da parte di Suzanne Jackson nei confronti delle dinamiche relazionali tra l’uomo e ciò che lo circonda. 

Suzanne Jackson, The ’white-eyes’ shift, 2022. Layered acrylic, 122 × 101,6 cm. Courtesy of the artist and Ortuzar Projects, New York

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