Non una mostra, piuttosto un’esperienza espositiva: David Lamelas rivede il formato retrospettivo e trasforma I have to think about it in un approfondimento di spazio e di tempo in termini di accadimenti contestuali e relativi, dunque esperibili e narrabili in molteplici variazioni.
«Predisponendo un allestimento non confinato a uno spazio definito, e ritmando il tempo della mostra su quello più lungo e mobile della visione, dell’ascolto e del pensiero, Lamelas ci invita a considerare le dimensioni dello spazio e del tempo come qualcosa di interpretabile, e quindi variabile», spiegano i curatori di Part II, Andrea Viliani ed Eva Brioschi, fornendo un’introduzione «(possibile) a una mostra fatta quasi di nulla». È interpretabile, è variabile: data questa premessa, la Fondazione Antonio Dalle Nogare non è più, e non è soltanto, il contesto espositivo o l’istituzione ospitante, ma rappresenta un elemento chiave in un discorso in divenire in cui l’interpretazione di Lamelas, compartecipa con quella di altri soggetti, a partire dal pubblico.
La riflessione sul ruolo di autore, spettatore e interprete è egregiamente messa in scena da Rock Star (Character Appropriaton), che Lamelas realizza appropriandosi della biografia fittizia di un idolo musicale per giocare con i concetti di percezione, desiderio e realtà, mettendo in questione lo statuto dell’opera – che si confonde con il manifesto di un concerto. L’opera precede, all’ultimo piano, lo spazio Vault, dove Conexión entre un semircîrculo y un punto e Situación de un circolo materializzano la volontà di Lamelas di situarsi perfomativamente nello spazio e nel tempo. Nella prima, del 1987, il disegno a carboncino sulla parete di un arco – corrispondente all’estensione, dal punto più basso a quello più alto, del braccio dell’artista – viene proiettato nello spazio attraverso tre spaghi; nella seconda, del 2018-23, un cerchio viene proiettato dalla parete, su cui è disegnato a pastello, nello spazio, dove assume la fisicità di una scultura in ferro. Tra queste due opere corrono più di trent’anni, eppure entrambe, a loro modo effimere, affermano la propria specificità in base al luogo in cui sono allestite, evidenziando le possibilità interpretative.
Nella stessa stanza una selezione di dipinti, sia rettangolari che ovali, delle serie L.A. e Surf-Face completa l’allestimento della stanza, contraddicendo, nella sua forma di quadreria, qualsiasi idea di controllo, rigore e stasi. La mostra prosegue ai piani inferiori, sconfinando nelle sale che accolgono la collezione. Con solo un’opera, Segnalamento (2014), formata da venti lastre di marmo disposte a formare un cerchio sul pavimento, David Lamelas pone in essere un dialogo con Impronta di Luciano Fabro, una lastra di vetro, circolare, con l’impronta del corpo dell’artista serigrafata sulla superficie, posta all’interno del cerchio. Questo dialogo, che nasce dall’elaborazione condivisa della percezione dell’osservatore, si propaga – in termini formali e individuali – alle pareti, dove sono esposte: Documentazione d’interferenza umana nella gravitazione universale di Giovanni Anselmo, Immagine somiglianza di Alighiero Boetti, La Doublure di Giulio Paolini e Conferma partecipazione esposizione di Emilio Prini.
«Prolungare il corpo in tutte le cose del mondo», affermava Fabro e ricordano i curatori, favorendo una doppia percezione: che ciò che di trova nell’area di Segnalamento diventa partecipe dell’opera di Lamelas e che il corpo è riferimento non solo dell’opera ma anche della relazione che essa instaura con lo spazio e con l’osservatore.
Scendendo di un piano, e continuando l’approfondimento un dialogo con gli artisti della collezione, Pared Doblada di Lamelas entra in relazione con un Achrome di Manzoni, Volume a moduli sfasati di Dadamaino, Not to Be Sold More Than $100 di Sol LeWitt e Bodenstück di Heidi Bucher. Pared Doblada fu realizzata per la prima volta nel 1994, Lamelas utilizzò un foglio di carta per ricreare una parete del suo studio, poi lo ripiegò e lo inserì nel contenitore che accompagnava l’opera. Concepita come testimonianza architettonica, alla Fondazione Antonio Dalle Nogare l’opera si compone di tre fogli – uno a parete, uno a pavimento, uno nel contenitore – ognuno dei quali ricrea i muri presenti nello studio newyorkese dell’artista. In relazione alla collezione, l’opera stimola la percezione a diversificarsi nell’interpretazione dello spazio e dell’architettura.
Il percorso, che prosegue attraverso Duration Piece #7 di Douglas Huebler e I got up di On Kawara, Seth Siegelaub, Bernd Lohaus e Hanne Darboven, ci porta di fronte a Office of Information about the Vietnam War at Three Levels: The Visual Image, Text and Audio. Presentata in occasione della Biennale di Venezia del 1968, l’opera – che fu smantellata al termine della manifestazione – è stata ricostruita sulla base della sua documentazione fotografica ed è esposta nella sua forma sineddochica ed evocativa, come una possibile ulteriore conformazione, con alcuni materiali documentari (tra cui alcune fotografie di Ugo Mulas che hanno permesso la ricostruzione), due scrivanie Olivetti e una macchina Telax.
L’opera «consisteva in un elegante ambiente d’ufficio (…). A intervalli veniva attivata l’installazione: una donna ben vestita sedeva in ufficio e leggeva ad alata voce le trasmissioni sulla guerra ricevute in diretta tramite un telax dall’agenzia di stampa italiana ANSA: quando era assente i visitatori potevano alzare le cornette telefoniche fuori dall’ufficio per ascoltare le registrazioni dei rapporti in diverse lingue (…). Con questa installazione Lamelas riflette sulla natura mutevole, a volte paradossale, del tempo e della comunicazione in una fiorente società dell’informazione. L’immediatezza con cui le informazioni vengono fatte circolare, registrate e trasmesse anche me tre gli eventi si stanno svolgendo, ha il potenziale per saturare eccessivamente il pubblico e diminuire l’impatto», ricordano Viliani e Brioschi, citando la scheda redatta dai curatori del MoMA (nel 2012 l’opera è entrata a far parte della collezione).
Guardando a Office of Information about the Vietnam War at Three Levels: The Visual Image, Text and Audio come la somma di azione e idea andiamo oltre la semplice descrizione di quanto è accaduto e comprendiamo come essa sia, a tutti gli effetti, basata sull’azione, ma anche che originariamente sia stata (e tutt’ora, anche qui, sia) ideata e potenzialmente diretta a una serie di azioni. Come se fossimo di fronte a un insieme di schemi concettuali di valenza preparatoria e istruttoria diretti a successivi esperimenti behavioristici, Lamelas dà, concretamente, la possibilità di scegliere di entrare nell’azione, partecipando al suo stato di concentrazione, o di andarsene.
Al piano terra, dove la mostra si apre (o si chiude, a seconda della nostra interpretazione) sono esposte la serie di 11 fotografie Gente di Milano e, nella sala cinematografica della Fondazione, Film Script (Manipulation of Meaning), che consiste nella riproduzione simultanea di un film 16mm e tre differenti sequenze di diapositive. Oltre a decostruire la narrazione cinematografica, Lamelas rivela la natura della manipolazione illusiva del significato montando una stessa serie di azioni, banali e quotidiane, secondo narrative differenti, dalle quali dipendono molteplici e variabili interpretazioni.
Attivazione è una delle parole chiave di I have to think about it: ed è in questi termini che il prossimo 10 novembre, nel contesto della mostra, sarà presentato WIDE WHITE SPACE Une seconde d’eternité, un racconto per immagini a cura di Eva Brioschi che ha l’obiettivo di far conoscere al pubblico la storia della WIDE WHITE SPACE, galleria di Anversa che ha esposto artisti che hanno condiviso le loro ricerche con quelle di Lamelas, tra cui Marcel Broodthaers, di cui verrà proiettata la pellicola Une Seconde d’Eternité.
Spazio e tempo, reale e mentale, biografia e storia, artista e pubblico: prenderli in considerazione pensandoci su, e non dandoli per scontati permette di ristabilire la specificità dei lavori di Lamelas – in cui consistono e coesistono – che coinvolgono un complesso di questioni inerenti la natura dell’arte, la vita e la loro interazione. Come strumenti concettuali, ognuno di questi elementi del discorso in divenire la questione della durata, la nozione di processo, i modi di partecipazione e la natura della realtà, spostando di fatto l’ossessione ontologica nel terreno della riflessione, dove giungono a piena visibilità tutti i percorsi attraverso cui le interpretazioni si spingono oltre i confini dell’arte verso i fronti più controversi.
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