Così (non) è se (non) vi pare. In un allestimento che subito rincuora per il ricorrente e strabordante colore, la mostra “Toys are Us” di Davide Mancini Zanchi, alla A+B Gallery di Brescia, rapisce con un sorriso e con un’efficacia predetta dal titolo lancia una sfida a giocare invertendo continuamente i ruoli fra soggetto riguardante e oggetto d’arte, legando il tutto ad una sorta di slalom fra le contraddizioni di quello che appare essere l’opera d’arte, il contenuto materiale della stessa e il rapporto tra significante e significato.
Non è riduttivo dire che ci si accosta a questa indagine con l’atteggiamento di un bambino perchè non si pone la (solita) questione ermeneutica, ma si propone una libertà di gioco interpretativo inusitata.
Tutte le opere vivono di una loro specifica contraddizione e attraverso questa ricercano un canone estetico, una sorta di indice di gradimento, che muove sia la memoria artistica che quella esistenziale dell’osservatore, ora libero da pregiudizi di sorta.
La chiave sta nella morfologia sibillina delle opere, delle loro parti, della loro classificazione.
In sala troviamo sculture realizzate con il morbido “Das” – ma ora non più modellabile e vetrificato – coagulato attorno ad oggetti d’uso comune: una tazza che diventa uno hollywoodiano “Stargate” o misterioso “Graal”, un thermos che diviene una monolitica roccia da cui sgorga o si conserva l’acqua, una sorta di pianta carnivora fantascientifica realizzata con le multiprese elettriche, una stampella che perde il suo significato di sostentare e invece viene sostenuta da un tavolo dal piano forato, un ombrello che si libra su tre gambe, uno scovolino che diviene totem, e così via per sculture che sono perfettamente “esposte al ludibrio” – più gioco che scherno – su tavolini assemblati, che forse sono opere o parti di opere o sostegni. Come sculture di “art brut” su nuvole surrealiste a quattro gambe, sono ora le opere ad interrogare l’osservatore.
Ad una parete troviamo otto grandi opere realizzate con la tecnica di “contatto”, che già l’artista aveva utilizzato in dipinti precedenti con applicazioni diverse ( spot, tamponi…): sono tele dal colore di fondo acceso e saturo, con composizioni di fili colorati, grafie “delicate” come il gusto di un “piatto”, consono richiamo alla tecnica degli spaghetti intrisi di colore deposti come passaggi serigrafici, un soave “action painting”.
Di fronte, l’installazione dei bozzetti per il quadro più brutto del mondo – serie di tele 30×40 – costituisce una sequenza, dai toni accesi, di impressioni lasciate nella memoria da quadri astratti storicizzati. Nella semplificazione delle forme, che possono rimandare ad opere note, prende vita il contrasto di un “impressionismo concettuale” tramite un “astrattismo materico”: di nuovo l’estetica si relativizza nella libertà virginale dell’osservatore.
Sullo sfondo, la galleria trova una quinta realizzata da tovaglie, la grande tovaglia, intelaiata e ritoccata, anzi dipinta fino a farne – con le tensioni ai bordi del telaio – qualcosa che da geometrico diventa psichedelico, in contrasto con la quotidianità della mensa che richiama, mentre pone il limite finale all’esperienza mentale dell’installazione.
E la mostra non è una provocazione – l’arte non può vivere canonizzando la provocazione – ma è vero stimolo al dibattito interiore e interpersonale, secondo la cifra della A+B Gallery, mentre la contaminazione stilistica non è citazione ma quasi un sogno da decifrare.
Marco Ticozzi
Dal 19 ottobre al 23 novembre 2019
Davide Mancini Zanchi, TOYS ARE US
A+B Gallery
Via Gabriele Rosa, 20, Brescia
Info: gallery@aplusb.it / www.aplusbgallery.it
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