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Diana Anselmo, arte e resistenza della comunità sorda, in mostra alla Galleria Delfini di Roma
Mostre
La lingua dei segni è ormai riconosciuta ufficialmente come lingua vera e propria in molti Paesi del mondo. Del resto pare scontato, considerando che di fatto stiamo parlando di un sistema complesso di regole grammaticali e sintattiche. È capace di restituire una profondità espressiva perfettamente in grado di articolare concetti astratti ed esprimere efficacemente le emozioni. Come possiamo osservare è facile dire che non si tratti di una semplice “traduzione gestuale” di una lingua parlata.
Eppure questo riconoscimento in molti casi è addirittura più giovane di molti di coloro che in questo momento stanno leggendo questo articolo, in Italia ad esempio arriva soltanto nel 2021 e nel resto d’Europa e del mondo difficilmente prima degli anni Novanta. Verrebbe da chiedersi a questo punto come sia stato possibile questo ritardo nel riconoscere qualcosa di così ovvio.
Ed è proprio qui che ci viene in aiuto la ricerca di Diana Anselmo, artista e attivista sordo, che nella nuova mostra presentata a Roma nella galleria Eugenia Delfini, cerca di raccontare una storia di medicalizzazione, umiliazione e repressione della comunità sorda nella Francia di fine Ottocento e inizio Novecento.
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In anni in cui la lingua orale detiene una chiara supremazia, a incrementare la rapidità del dilagante fonocentrismo arriva anche il verdetto del Congresso di Milano del 1880, che mette al bando l’insegnamento e l’utilizzo delle lingue dei segni, costringendo alla clandestinità la loro trasmissione.
Tramite il materiale d’archivio reperito all’Injs – Institut National de Jeunes Sourds di Parigi, Anselmo ci mette in contatto con una realtà in cui la fede positivista legittimava ogni mezzo purché si sbandierassero i fini della ricerca e del progresso. Tra esperimenti bizzarri e tecniche discutibili, se le foto del laboratorio della parola del fonetista Hector Victor Marichelle si fanno testimonianza di una serie di inquietanti abusi e umiliazioni, l’intervento dell’artista, che appone dei chewing-gum sui volti dei pazienti, rappresenta una volontà di tutela di coloro che furono già vessati a sufficienza dai medici che avrebbero dovuto aiutarli.
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Anselmo, dunque, in questa sua prima mostra in galleria, dimostra di essere un abilissimo narratore, non è da tutti infatti riportare dei fatti tanto drammatici con un’ironia così pungente, intelligente e non strumentale. In fin dei conti persino il titolo è un esemplare atto di umorismo, che gioca su un errore molto comune dei correttori automatici dei paesi anglofoni che sostituiscono automaticamente la parola deaf con la parola dead. Mentre l’utilizzo del chewing-gum come protezione alle vittime della medicalizzazione è dovuto alla credenza dei medici che i sordi siano capaci solo di espletare la masticazione.
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Mettersi nei panni dell’altro spesso è difficile e ce ne sono alcuni che, a pensarci, nessuno vorrebbe davvero indossare. Tuttavia è sempre giusto raccontare e dare gli strumenti necessari per rendere consapevoli, per far capire a tutti che in passato sono stati fatti degli errori che non vanno ripetuti e che la storia alla fine ripaga sempre la resilienza, incarnata in questo caso dalla parola «BASTA!», scritta sulla lavagna da uno studente che si oppose all’ennesimo atto d’intrusione da parte del docente di articolazione. Diana Anselmo ci rende fruibile questa storia attraverso quattro illustrazioni su carta carbone, in cui un suo avatar stilizzato pronuncia, in Lis – Lingua Italiana dei Segni, la frase: “Unə di noi ha scritto / scrisse / sta scrivendo / scriverà: BASTA!”, ammiccando anche alle incisioni sui supporti a nerofumo, utilizzati in quegli anni per registrare il parlato.
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Le opere esposte in questa mostra vanno oltre l’estetica, oltre la comunicazione emotiva dell’artista, assumono la forma di un vero e proprio reportage supportato da un’approfondita ricerca storica e arricchita da una visione intima e sarcastica.
Il suo modo di giocare su questioni così delicate non è né banale né fuori luogo, anzi, è grazie a questo atteggiamento che riesce a catturare l’interesse, con immagini semplici e riconoscibili con le quali si entra volentieri in contatto per cogliere il senso dell’opera e proiettarlo, così da smascherare un’ideologia fallace per la quale sono stati portati avanti soprusi e vili attacchi alla libertà e alla dignità di persone, rendendo inevitabile anche il coinvolgimento emotivo. Forse le persone udenti non riusciranno mai a comprendere le difficoltà e i problemi delle persone sorde, ma la persecuzione di una categoria di individui in virtù di una presunta superiorità, la repressione e persecuzione culturale per una fantomatica inadeguatezza, non sono nuove a nessuno e tutti, anche se in modo diverso, possono comprenderle, perché in questo mondo la parola odio esiste in tutte le lingue.
La mostra di Diana Anselmo alla Galleria Eugenia Delfini di Roma sarà visitabile fino al 14 febbraio 2025.