Dolce e mortifero, il termine «glassa» – che deriva dal francese glace – gioca con l’ambivalenza semantica tra la glassa decorativa utilizzata per ornare i prodotti di pasticceria e il corpo gelido senza vita del ghiaccio. Visitabile fino al 4 febbraio 2024, Glassa – curata dal direttore Stefano Collicelli Cagol e Elena Magini – presenta al Centro Pecci alcune opere inedite e altre di precedente realizzazione di Diego Marcon: film, video, animazioni, sculture, pubblicazioni dialogano con l’architettura dell’istituto museale e con Have You Checked The Children, la mostra ospitata in simultanea alla Kunsthalle di Basilea a cura di Elena Filipovic.
La gestione dello spazio tra i vuoti e i display, l’incanto dell’infanzia che si infrange con il progetto di morte dell’essere umano, la giocosità intuitiva degli animali che si spegne con le ceramiche di Cani morti e incontra un cortocircuito con le talpe robotiche del film Dolle. Il flirt tra linguaggio scultoreo e cinematografico di Diego Marcon si appropria degli oltre 1000 metri quadrati offerti dal Centro Pecci per ospitare il più ambizioso progetto espositivo mai realizzato dall’artista e per celebrare, a 35 anni dall’apertura dell’istituto museale, l’architettura ideata da Italo Gamberini nel 1988. E proprio la conversazione tra la configurazione architettonica, le opere, gli schermi e gli inediti interventi curati dall’architetto Andrea Faraguna suggeriscono come l’approccio di Marcon si sviluppi in quello spazio liminale che ricongiunge cinema e arti visive all’interno di una scenografia in cui anche la luce e il trattamento del vuoto giocano la loro parte. Non a caso infatti, le dieci sale dell’ala Gamberini sono illuminate solo per mezzo dei lucernari a soffitto: l’ingresso della luce naturale unita alla dilatazione dell’allestimento invitano il pubblico a esplorarne gli ambienti con una curiosità quasi infantile, complice anche la scelta di non riportare alcuna didascalia e approfondimento testuale. Gli interstizi d’ombra, bilanciati talvolta dalla luminosità dei display, dialogano con l’ingresso dell’ambiente esterno, come nel caso della grande finestra appositamente ritagliata da Marcon e Faraguna che, tra visione e vertigine, si affaccia sull’iconica antenna realizzata nel 2006 dall’architetto olandese Maurice Nio. «Le sale Gamberini del Centro Pecci sono sempre state una delle mie architetture museali preferite. Forse anche per questo la progettazione della mostra ha preso forma con estrema naturalezza» afferma l’artista. E, di fatti, la configurazione ad anello del Centro Pecci combacia tanto con l’indagine di Marcon attorno al ciclo fisiologico che lega vita e morte quanto alla struttura del video in loop utilizzata dall’artista per sollecitare la vulnerabilità dell’individuo.
Omaggiata anche dalla sedicesima edizione de Lo schermo dell’arte – il Festival di cinema e arte contemporanea di Firenze che dedica a Marcon molte proiezioni del palinsesto – la sua sperimentazione con l’immagine in movimento è permeata di archetipi e di meta-analisi: la struttura de loop, l’ambiguità tra realtà e rappresentazione, figure di empatia familiare e famigliare. Nel corto animato Untitled, 2017, la frenetica danza di una bambina si ripete ritualmente, accompagnata dal rintocco di un proiettore 16 mm che ne scandisce il tempo; e anche con TINPO, 2006, è l’infanzia a presiedere la scena di un pranzo domenicale in famiglia dove due ragazzini giocano a farsi la guerra, tingendo l’ambiente domestico di violenza e inquietudine. Infine, l’ultima sala di Glassa ospita il film inedito Dolle, 2023, dove papà e mamma talpa – due personaggi meticolosamente progettati attraverso la tecnologia dell’animatronica – sbagliano continuamente i conti mentre i figli dormono. Di nuovo la struttura del loop, questa volta trasformata in una febbre aritmetica che gioca con il reiterarsi dell’errore di calcolo e con il puro linguaggio matematico, fatto di infinite somme e sottrazioni irrisolte. Perché irrisolte sono le risposte alle domande di chi si mette sulle tracce di confini certi. Inizio e fine, vita e morte, realtà e rappresentazione sono i luoghi che delimitano la ricerca di Diego Marcon e che, al contempo, lasciano al visitatore il beneficio del dubbio sulla loro esistenza o impermanenza.
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