Il Museo Fabre di Montpellier accoglie “Le théâtre du silence”, mostra monografica di spicco dedicata all’artista franco-algerino Djamel Tatah, visitabile fino al 16 aprile 2023. Classe 1959, Djamel Tatah nei suoi lavori sviluppa tematiche come la vita urbana, la guerra, la solitudine e il dolore, attraverso la rappresentazione di donne e uomini ritratti soli o in gruppo, tra i quali troviamo gli hitisti: vengono chiamati così, in Algeria, i perdigiorno, letteralmente “reggitori di muri”.
Le sue opere ricordano capolavori come Studies from the Human Body (1970) di Francis Bacon o Le penseur (1880) di Auguste Rodin, opera rivoluzionaria che simboleggia un concetto astratto, come il pensare, e che implicitamente rimanda al silenzio. La ricerca materiale e pittorica di Tatah si ispira a Barnett Newman, uno dei maggiori rappresentanti dell’Espressionismo astratto, mentre le tecniche usate vanno dalla pittura a cera, risalente all’antichità, passando per la fotografia e la digitalizzazione delle immagini. L’artista ha esposto a Villa Medici a Roma, al Von der Heydt Kunsthalle di Wuppertal, al Museo di Guangzhou in Cina, al Museo di Arte Moderna e Contemporanea ad Algeri, al Centro Pompidou di Malaga, presso la Fondazione Maeght St-Paul de Vence e la Collezione Lambert di Avignone.
L’esposizione a Montpellier si disloca in uno spazio aperto punteggiato da 40 creazioni storiche e recenti, di piccolo e grande formato e polittici, sparse in cinque sezioni in cui è centrale la questione della teatralità. I primi lavori sono in Les origines de la peinture dove supporti irregolari, realizzati con tavole di recupero, a mo’ di Jean-Michel Basquiat, dialogano con disegni e quadri monocromatici che guardano a Newman.
Rappresentata da corpi eretti, allungati, vacillanti o senza vita, l’umanità è il leitmotiv che attraversa tutta la produzione di Djamel Tatah sino a oggi. Se i tratti fisici dei personaggi sono lievemente accennati, i corpi rivelano emozioni ora sorde ora rivelate, mentre il loro sguardo ci dirige alla scoperta di sfumature in tele mono o bicromatiche. La sezione En suspens, propone lavori del 1998, in cui corpi anonimi sono colti in gestualità vertiginose, tra sospensione e caduta, in bilico nello spazio pittorico, sembrano eseguire passi di danza su un ritmo virtuale, latente. La fotografia – parte integrante del processo creativo di Tatah – dialoga con la pittura, restituendo l’istante magico e irripetibile di un gesto saltuario.
È interessante la sezione Le théâtre du silence in cui la posizione delle tele forma un quadrato aperto agli angoli che permette di circolare liberamente, come di scoprire le opere grazie a scorci diversi. Una disposizione che rimanda all’atelier dell’artista e al suo modus operandi, che è quello di lavorare su differenti tele al contempo. I personaggi qui sembrano consumati dal dramma dell’attesa; il tormento di tutta un’umanità che guarda al capolavoro di Samuel Beckett, Aspettando Godot. Un clin d’œil a Eadweard Muybridge, noto per le scomposizioni fotografiche del movimento, nella sezione Répétitions dove Tatah sviluppa il principio della ripetizione di uno stesso personaggio ritratto in un’unica tela, o in singoli quadri di piccolo formato in cui assume posizioni disparate. In Présences le figure appaiono come archetipi, dal volto spettrale, un azzurro pallido che fa pensare al processo di stilizzazione che ritroviamo, tra l’altro, in alcune miniature persiane per le quali venivano usati i lapislazzuli o l’azzurrite.
Un’opera mirabile? Les Femmes d’Alger (1996, olio e cera su tela, 350×450 cm, Collezione Les Abattoirs, Musée – FRAC Occitanie Toulouse), un trittico che vede la stessa donna replicata 20 volte. Si tratta di uno dei maggiori lavori e dei primi in cui l’artista introduce il concetto di ripetizione che svilupperà più tardi. Tutte in piedi, ritratte frontalmente, queste indossano il medesimo abito scuro che va dal blu, al marrone, al verde. Disposte come note su uno spartito musicale, queste donne sembrano attendere di commentare un’azione tragica, come un coro dell’antico teatro greco. In questo lavoro, che celebra la forza e la resistenza delle donne nel mondo, lo sfondo arancione appare come un giorno che inizia o che finisce.
«La mia pittura è silenziosa. Imporre il silenzio di fronte al rumore del mondo è un po’ come adottare una posizione politica. Ci induce a prendere delle distanze e a osservare il nostro rapporto con gli altri e con la società», sottolinea l’artista. Il silenzio in Tatah è introspezione, rivoluzione, protesta e, al contempo, restituisce storie probabili, lontane o vicine, di personaggi catturati in colori finemente stesi. Un artista da seguire e una mostra da non perdere.
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