«Così il classico riguarda sempre non solo il passato ma il presente e una visione del futuro» è il suggerimento di Salvatore Settis scelto da Andrea Viliani, insieme a Margherita de Pilati, per dare forma all’idea di Vittorio Sgarbi che è all’origine di Domus Contemporanea.
Promossa in sinergia con il Comune di Trento e con l’Azienda per il Turismo di Trento, Domus Contemporanea è organizzata dal Mart di Rovereto negli spazi della Galleria Civica di Trento (fino al 26 novembre) con l’occasione della riapertura, dopo più di vent’anni di lavori, della domus romana, detta Villa d’Orfeo, costruita extra moenia tra il I e II secolo d.C. I curatori de Pilati e Viliani hanno costruito un progetto di grande sintonia, storica ed estetica, sovvertendo il normale itinerario di visita della Galleria per concretizzare, in termini di esperienza, la dimensione di uno scavo archeologico che riporta dal sottosuolo in superficie le sue scoperte.
David Aaron Angeli, Francesco Barocco, Vanessa Beecroft, Carlo Belli, Luca Bertolo, Antonio Biasiucci, Bn+BRINANOVARA, Andrea Branzi, Giuseppe Canella, Giorgio de Chirico, Patrizio Di Massimo, Mimmo Jodice, Carlo Maria Mariani, Angiolo Mazzoni, Fausto Melotti, Luigi Ontani, Mimmo Paladino, Giulio Paolini, Michele Parisi, Claudio Parmiggiani, Gianni Pettena, Salvo, Nicola Samorí, Alberto Savinio, Federico Seppi, Ettore Sottsass Jr, Nicola Verlato, Francesco Vezzoli e Adolfo Wildt sono gli artisti che reinterpretato l’archeologia e la storia antica, proponendo molteplici variazioni del classico, radicandolo nel proprio presente e proiettandolo dal passato al futuro.
Il percorso muove con Angiolo Mazzoni che in pieno regime seppe superare il suo razionalismo poco monumentale per dare forma a un progetto – interrotto dagli eventi bellici e mai terminato dopo la realizzazione delle ali – per la Stazione di Roma Termini che si inserisse – secondo la volontà del Duce – nella millenaria tradizione architettonica romana. I disegni e la riproduzione fotografica (proveniente dall’Archivio del ‘900 del Mart) del calco in legno 1:1 che Mazzoni realizzò aprono frontalmente alla vista di un’ampia selezione di opere a tecnica mista su carta del pittore e disegnatore roveretano Carlo Belli, appassionato di archeologia e tra i primi – fin dagli anni ’30 – ad avere un rapporto forte con la disciplina. La serie esposta viene dal progetto, mai concluso, di catalogazione della collezione del Museo Nazionale di Taranto: un’immersione nella cultura del Mediterraneo con cui, confrontandosi, erano implicite nuovi possibilità formali.
La zona dedicata gli anni ’30 e oltre, tra ordine e metafisica, si completa con la presenza di opere di grande fascino di Fausto Melotti, di Alberto Savinio – di cui Le Poète è uno straordinario esempio di classicità che si ripercuote nella pittura di un corpo solo con una colonna e con un braccio alzato che esibisce un saluto – di Giorgio De Chirico, con la sua Metafisica pervasa da un senso di distanza dell’uomo e di assenza, e infine di Adolfo Wildt, secessionista ma estremamente classico nella statuaria. Avanzando nei decenni, raggiungiamo il trentennio ’60-’90 e attraversiamo nuove varianti di classico che portano il nome di Giulio Paolini, Mimmo Jodice (con una serie di fotografie in cui rintraccia le radici culturali del Mediterraneo rendendo presenti e facendo vibrare di vita le antiche rovine), Mimmo Paladino e Claudio Parmeggiani, tutti testimoni – sia artisticamente che concettualmente – della forza dinamica dello spirito classico.
Il percorso prosegue con un interessante dialogo tra la tridimensionalità della scultura di Francesco Barocco, evocativa di una presenza non connotata in favore dell’immaginazione, e la fotografia di Vanessa Beecroft della performance ub62, in cui i corpi delle modelle richiamano la scultura siciliana tardo barocca, sospendendo ogni possibilità di distinguere ciò che è reale da ciò che non lo è. Entrambe restituzione illusiva di qualcosa che era ed è, di antico e contemporaneo, le opere sono affiancate dai dipinti di Michele Parisi – Irae – oblio, realizzati per la mostra recuperando immagini di siti archeologici siriani, distrutti dalla guerra, per trasporle su tela con una sfocatura che ricorda il processo della memoria nel tempo – e dal corpo di Antonio Biasucci, composto da differenti volti, sguardi, mani, piedi che risaltano in una composizione inedita in bianco e nero.
Salendo incontriamo Bn+BRINANOVARA, duo formato da Giorgio Brina e Simone Novara, con una sequenza di sei opere pittoriche che affronta il tema del Colosso di Costantino assumendo l’idea di classico e rifiutandone i principi tradizionali incompatibili con la visione contemporanea e David Aaron Angeli con Orfeo. Uno sciamano capace di incantare animali, cantore e argonauta, un chiaro riferimento alla mitologia, dalla forte valenza simbolica, rivisitata iconograficamente e anche da un punto di vista dei materiali (cera d’api, ferro e piume). Lungo il corridoio le Maquette Domus della serie Metropoli latina, con cui Andrea Branzi esplora la domus pompeiana nella sua dimensione intima, tragica e contemporanea, aprono la vista su tre opere, più sentimentali che ideologiche, di Salvo, in cui si sente forte la Magna Grecia, a colori e sotto il sole che illumina e attraversa i colonnati di un tempo immobile.
Quattro colonne ceramiche di Ettore Sottsass JR si pongono tra La colonna infame (Palmira) di Luca Bertolo, dipinta sul retro del quadro con un’ondulata striscia nera che ricorda un’azione di sfregio, e l’incavo tra esterno e interno, corpo e architettura, di Gianni Pettena che richiama in vita i calchi pompeiani. L’opera Presenza/Assenza, dedicata all’amico Walter Pichler, gioca sulla consapevolezza della propria presenza fisica così come del ricordo di questa, della memoria di una forma che conserva caratteristiche fisiche, come forse il classico, che non esiste in quanto tale ma nella sua fisicità.
Nell’ultima sala, sensazionale in termini di messa in opera scenografica, il Grand Tour volge al termine con artisti come Nicola Verlato, Carlo Maria Mariani, Nicola Samorì, nella cui pratica il riferimento all’arte classica si trasforma in una wunderkammer di possibilità, frutto di un instancabile esercizio di rivelazione e non di copia, e Patrizio Di Massimo, che conferisce sensualità all’arte classica svelandone il desiderio di contemporaneità. Presenza di grande fascino è anche Luigi Ontani, con Tre gladioli d’Adone tentazione, tableau vivant del 1972 significativamente carico di riferimenti, aneddoti e idioletti dell’arte classica che si attualizzano nella sua soggettività e nel nostro presente.
Chiude Francesco Vezzoli attualizzando, come scrivono i curatori nel catalogo che accompagna la mostra, «il ruolo dell’artista come archeologo, caro a Giorgio de Chirico, o dell’intellettuale come archeologo della conoscenza, caro a Michel Foucault, configurando alcune sue opere come messe in scena di contraddizioni solo apparenti, per cui qualcosa può essere al contempo eterno ed effimero».
Domus contemporanea verifica assonanze che si perpetuano nel tempo, alla ricerca di una comprensione sociale e intellettuale al di là dei luoghi comuni e oltre qualunque definizione di classico, neoclassico, postclassico, anticlassico: «Per dare forma al mondo di domani è necessario ripensare le nostre molteplici radici».
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