Categorie: Mostre

Doppia mostra all’Istituto di Studi Romani: quando l’astrazione incontra la storia

di - 11 Dicembre 2023

Dal convento dei santi Bonifacio e Alessio all’Istituto di studi Romani, il corso della storia ha trasformato molte cose, meno che la bellezza scenografica e simbolica di questo luogo. La mostra Una doppia moltitudine, curata da Marco Rinaldi e Claudio Zambianchi, vede coinvolti due artisti contemporanei le cui ricerche, nonostante le tante differenze, riescono a intrecciarsi e danzare insieme, soffiando dolcemente ma con decisione un po’ di aria nuova in questo luogo in cui l’arte è di casa ma la contemporaneità è ospite gradito. Marina Bindella e Roberto Piloni, oltre che artisti affermati, sono anche docenti dell’Accademia di Belle arti di Roma. E in questa mostra si rende evidente come abbiano adempiuto egregiamente a entrambi i ruoli che, contrariamente a quanto si può pensare, non differiscono di molto l’uno dall’altro.

Le opere esposte non si pongono su un livello superiore rispetto agli osservatori ma, per propria natura, giocano e comunicano con loro e, in una maniera quasi maieutica, incentivano le menti dei visitatori a dare alla luce idee e pensieri personali, figli non di pannelli esplicativi o di saggi critici, ma della loro sensibilità percettiva.

Nei tre corridoi del chiostro, tra gli ampi finestroni, troviamo i lavori dei due artisti. Ad accoglierci all’inizio del percorso, ci attendono Lettura di un’onda di Roberto Piloni e Apeiron blu III di Marina Bindella. L’allestimento trova il suo nucleo più nei sapienti accostamenti delle opere esposte piuttosto che su un percorso rigidamente lineare, lasciando ai visitatori la totale libertà di movimento. Gli artisti condividono molti punti in comune e altrettanti contrasti, messi in risalto dalle coppie che si creano grazie alla disposizione alternata dei loro lavori.

Bindella, oltre a dimostrare la sua maestria nell’utilizzo di diverse tecniche e materiali, mostra un elevato controllo dello spazio e delle sfumature di colore. Nelle sue opere si rintraccia un rigore spesso modulare ma anche la capacità tecnica di lavorare su più livelli quasi semitrasparenti che, sovrapposti, generano intrecci di linee e chiaroscuri davvero sensazionali. Del resto anche nella poetica dell’artista si allude spesso alla visione del mondo come di una fitta sovrapposizione di strati finissimi che, come una cipolla, compongono una struttura materica complessa, rigida e compatta. In ognuno dei suoi lavori si può ben percepire uno studio approfondito, non solo del contrasto tra luci e ombre, ma anche di quello tra microcosmi e macrocosmi, che dà vita a composizioni cristalliformi o organizzate in pattern di forme che rimandano a minuscole creature unicellulari.

L’arte di Piloni si manifesta principalmente tramite l’uso di carte, cartoncini e qualche colore, oppure dei cosiddetti “ritrovamenti”, elementi trovati in natura o ricevuti in dono, come i rami di platano o le vecchie schede sonore presenti in alcune delle sue opere esposte.

La sua ricerca è investita di un’aura ironica, incarnata anche dai titoli che dà alle sue opere. Afferma infatti, che la ricerca di questi ultimi sia per lui, a tutti gli effetti, un lavoro “parallelo” e non semplicemente un’operazione subordinata alla presentazione dell’opera. Questa sua peculiarità lo rende più vicino al visitatore, con il quale gioca e propone degli scherzi che lo pongono, di fatto, davanti a un conflitto tra ciò che legge e ciò che va effettivamente a osservare.

Sono però la componente aggettante e il gioco di luci e ombre che essa genera, a rimanere il fulcro del lavoro dell’artista, oltre alla peculiare attenzione e valore che dà alla precarietà e all’effimero, alla bellezza di qualcosa che c’è in un momento e in quello dopo ha già fatto posto a qualcosa di nuovo, rimanendo in vita solo nel ricordo di uno scatto fotografico. Per questo tende a preferire l’uso delle teche, per affrontare al meglio l’idea della fragilità e del rimanere in bilico. In questa mostra sono presenti solo due teche, che ospitano i lavori che legano maggiormente i due artisti. Un esempio calzante può essere la teca, che a loro piace chiamare “delle tempeste”, che contiene Vortex Temporis di Marina Bindella e Tsunami di Roberto Piloni.

Le opere site specific, poste nei due corridoi alle opposte estremità, segnano la fine del nostro percorso, sia da un lato che dall’altro.

Da una parte troviamo due installazioni di Bindella, la prima che incroceremo sarà Finis terrae IV, un’opera divisa in due pannelli incastonati nelle ante di uno degli armadi dell’Istituto. A seguire, Sui bordi del tempo, un vero e proprio viaggio in otto passi attraverso una dimensione misteriosa. Linee che diventano più dinamiche e colori che accendono gradualmente la loro vivacità, ci accompagnano verso una comprensione più profonda e originale dello scorrere del tempo riuscendo ad incarnare, nei limiti fisici di questi cartoncini ondulati, il suo flusso turbolento e in costante mutamento.

Nel corridoio opposto, l’ex biblioteca del vecchio convento ospita due opere d’arte che, anche se lontane nel tempo, si scambiano dolci occhiate d’intesa. Sul pavimento di questa bellissima sala troveremo infatti l’installazione di Piloni Partitura incompiuta per ombre minime, una composizione di schede musicali perforate, dipinte di nero e distribuite ritmicamente in dieci file. Tuttavia il suono non viene solo evocato da quest’opera, perché ad accompagnare il nostro sguardo non ci saranno solo i piccoli led rossi, che dal basso trapassano i fori delle schede, ma anche il verso gracchiante di una gazza ladra. Inutile cercare fuori dalla finestra, si tratta semplicemente di un indizio che l’artista ci lascia per aiutarci a svelare il mistero dietro la sua opera.

La mostra è visitabile dall’11 novembre al 7 dicembre 2023.

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