L’altrove spaventa, insinua il tentativo di fuga, ci risulta inaccessibile. Eppure, attraversarlo, conoscerne percezioni, colori e forme, e trovare espressione nelle sue sfumature è possibile: Valentina Gelain e Bekim Hasaj lo provano costruendo una narrazione capace di dare un ordine alle cose, che aiuti a disvelarne il senso lasciando spazio all’accettazione.
Dripping Cavities, inaugurata lo scorso 4 novembre e visitabile fino al prossimo 14 gennaio negli spazi di Vaasa City Art Gallery, in Finlandia, è pensata come un dispositivo – di derivazione pollockiana, aperto da ogni lato affinché tutti, indistintamente, possano attraversarlo – entro il quale Gelain e Hasaj si parlano comunicandosi, e comunicandoci, le loro scoperte. I progetti esposti, The Grey Hour di Valentina Gelain e Scanning Landscape di Bekim Hasaj sono ispirati dal paesaggio dell’Ostrobotnia, e lì, nella regione della costa occidentale finlandese, trovano concretezza rispettivamente nelle forme di un approfondimento sulla condizione umana e sui rapporti che costringono l’individuo a irrigidirsi nei ruoli prestabiliti (Gelain) e nell’urgenza di conoscere e rappresentare in chiave antropologica l’intima relazione tra comunità e ambiente (Hasaj).
Iniziamo con l’Ostrobotnia, dove vivete. Se vi chiedessi di condurci per mano attraverso questo luogo, cosa ci raccontereste e dove ci portereste?
V.G: «Prima di partire, sicuramente vi direi di portarvi vestiti comodi e adatti a camminare e stare all’aperto. Dopo avervi accolto alla stazione, aver bevuto un caffè lungo e presentato la città di Vaasa (capoluogo di regione), senza pensarci troppo mi dirigerei verso le zone di campagna e dove si può accedere e mescolarsi alla foresta boreale, o riempire lo sguardo e il petto con la vista dell’arcipelago dello Kvarken (Golfo di Botnia). Molto probabilmente, nel girovagare tra la linea terra-cielo dei paesaggi dell’Ostrobotnia, volendo condividere la mia esperienza intima con voi, mi ritroverei a visitare tutti quei posti naturali che hanno ispirato le mie opere negli ultimi anni, tra cui tracce e testimonianze dell’era glaciale, come Ilveskivi/Lostenen, vicino la cittadina di Purmo e Pirunpesä (Il Nido del Diavolo), nel villaggio di Ylivalli, rispettivamente a nord e sud della regione».
B.H: «Vi porterei con me a fare lunghe camminate nella foresta (taiga), tra i numerosi laghi, l´arcipelago di Kvarken e altri siti naturalistici, testimoni di tempi remoti e tracce dell’era glaciale che hanno lasciato segni nell’ambiente, continuando a manifestarsi anche nel presente come nel caso dell’innalzamento della terra (isole) sulla costa del golfo di Botnia. Più che la città, qui la natura e il rurale è onnipresente e di conseguenza ha molto da raccontare da più angolazioni, partendo da quello socio-politico, scientifico, storico, economico… che bellezza!».
L’Ostrobotnia non è solo il luogo in cui vivete ma è anche l’altrove che accoglie e stimola la vostra ricerca. The Grey Hour e Scanning Landscape raccontano panorami complessi, articolati, spesso sorprendenti. Come li trasformate in lavori di creazione e quanto corrispondo alla vita?
V.G: «Come già anticipato, la mia ricerca e pratica artistica si sta sempre più nutrendo e legando al paesaggio e ambienti naturali, anche se già ai tempi dell’accademia ho iniziato questo ascolto-dialogo con l’ambiente rurale. Dinamiche prettamente umane, o comunque tematiche legate all’esistenzialismo, coesistenza, redenzione dell’individuo/i, trovano espressione e narrativa attraverso la primordiale ancestralità del paesaggio ed elementi naturali, dove le nostre tracce sono (apparentemente) diradate, o nulle. Facendomi ispirare e creando soprattutto per istinto e visioni, e non eclissando completamente la soggettività, posso confermare di restituire quei sussurri e immagini con sincerità, anche se può sembrare un’evocazione un po’ distante dalla realtà».
B.H: «“Not ideas about the thing But the thing itself“ (Wallace Stevens). Nel progetto Scanning Landscape sento di aver approcciato un senso del reale, nel mio tentativo e urgenza di conoscere ed splorare l´altrove e più concretamente il paesaggio dell’Ostrobotnia. Non fermandomi molto ad analizzare o interpretare idee sul soggetto, ma più che altro mostrarlo per quello che è veramente! Senza distanziarmi, diventando tutt´uno con esso, tramite stampe, frottage, metallo modellato su superfici rocciose, trasferimenti di tracce organiche su stoffa, e quant’altro, ho creato campioni visivi estrapolati dall’ambiente«.
Entrambi, pur diversamente in termini formali, attivate i vostri sensi verso esperienze, percezioni, emozioni, spiritualità e sensazioni, fisiche e mentali. Qual è il significato che date all’ambiente e come nell’ambito di Dripping Cavities e attraverso le vostre ricerche riuscite a espanderlo lungo le strade del sé, del subconscio, dell’identità, del corpo, dei pensieri, delle memorie e delle idiosincrasie che interagiscono in ognuno di noi?
V.G: «Credo che una pluralità di linguaggi e riflessioni su qualsiasi tematica indagati da varie prospettive e filtrati con diverse sensibilità, mezzi e contesti, possa restituire semplicemente un concezione più articolata e completa del soggetto/i trattato. Non posso affermare di aver deciso, ma sicuramente ora sono cosciente della mia volontà di interagire e lavorare con l’ambiente ‘naturale’ nella mia arte. Certamente potrei farlo in altri modi, ma relazionandomi al paesaggio, la morfologia del territorio, elementi e realtà in/di esso con i quali coesistiamo, sono diventati essenziali nelle mie opere. Non solo alla base formale e contenutistica, ma anche simbolica e introspettiva. La dimensione mentale e interiore umana viene proiettata su questi luoghi e le loro caratteristiche, cercando di trovare e manifestare un terreno comune per la comunicazione e il confronto… e ovviamente la scelta che mi ha portato a questo è riconducibile alla mia interiorità, sensibilità e individualità».
B.H: «Pur considerandoli due estremità della stessa unità, il fisico-mentale, tendo ad attivarmi artisticamente su un piano principalmente fisico/corporeo e di conseguenza arrivare ad un piano più mentale. E nello stesso modo mi relaziono all’ambiente, riportando ed espandendo le proprie esperienze, percezioni, fisicità e pensieri, traducendoli nel processo ´del fare´, e riflettendo su di esso. Caratterizzata da un interazione sensoriale e riflessiva, la mia ricerca non si pone di dare significato, ma piuttosto esplorare l’ambiente, questo paesaggio».
Quanto conta la percezione, come incide nei vostri lavori e che ruolo ha nella comprensione dell’altrove, dentro e fuori da sé?
V.G: Come avrete già capito, sono travolta dalle percezioni, da visioni che investono la mente, già comunque incessantemente attiva. Queste pre-visualizzazioni sono suggerite da qualcosa che ancora galleggiava nel subconscio e che si palesa, nella sfera cosciente e subito assorbito nella dimensione creativa. La mia pratica e ricerca, se pur meticolosa nel processo della pianificazione e creazione, inizialmente è guidata dall’intuito, e quindi, in un certo senso, sembra provenire da un’altrove. Prima percepisco, vedo, poi cerco di sviscerare per capire. Credo che sia comunque essenziale, dato che più ti addentri nei flutti dell’interiorità, più cerchi di trovare coordinate in una dimensione che si fa sempre più sfumata, intricata, smisurata, la percezione sia uno dei fili di trasmissione che abbiamo con esso. O più che altro, che ‘l’altrove’ ha con noi. Oltre a questo, la volontà anche di rappresentare l’interiorità, l’invisibile, mi spinge a esplorare figurazioni e simbologie che possano renderlo tangibile e ponderabile.
B.H: La percezione ha un ruolo molto incisivo nel mio lavoro, e anche nel caso di Scanning Landscape precedeva questa comprensione dell’altrove sul piano interiore ed esteriore in relazione all’ambiente. Come nel caso delle mie stampe, delle forme, le texture e dei pattern selezionati, mosse da una percezione visiva, mappando poi un panorama intrinseco, ho sviluppato alla fine un linguaggio sensoriale ed implicito che l’osservatore è invitato a sua volta a percepire e dialogare con esso individualmente.
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