Dubuffet e l’Art Brut, in corso al Mudec di Milano fino al 16 febbraio 2025, ripercorre le tappe principali di questa corrente artistica e del suo capostipite attraverso opere che spaziano dall’olio su tela, al disegno su carta con matita, alla china, fino alla scultura realizzata con materiali di scarto. A cura di Sarah Lombardi e Anic Zanzi, l’esposizione è articolata tramite lavori di numerosi artisti, italiani e stranieri, che hanno preso parte e hanno contribuito allo sviluppo del movimento.
Lontana dalle retoriche istituzionalizzate e dalla cultura artistica ufficiale, in questo delicato periodo storico nasce una tendenza che esprime con fermezza la volontà di creare una produzione svincolata da una visione conformista e da modelli tradizionali. Siamo nel 1945, secondo dopoguerra, quando la nozione di “art brut” viene coniata per la prima volta dall’artista francese Jean Dubuffet, il quale ricorre a questo aggettivo per riferirsi a qualcosa di grezzo, ma anche puro, autentico, incontaminato, in netta contrapposizione con l’aggettivo “culturale”. L’artista brut è infatti un emarginato, un autodidatta che rifiuta le tecniche, un ribelle che esprime il proprio spirito creatore attraverso opere che richiamano mondi psicologici estremamente intimi, un immaginario naïf che appartiene ai bambini nei primi anni di vita. Molti degli autori in mostra sono infatti artisti tormentati da disagi psichici, che trovano nell’espressione artistica una via di fuga alla sofferenza ma anche uno strumento di guarigione. L’Art Brut nasce quindi da una necessità interiore. Gli artisti che aderiscono a questa nuova visione sono persone spesso ai margini della società, che manifestano intuizioni prive da ogni condizionamento accademico. Dubuffet prende una posizione radicale contro il sistema dell’arte, schierandosi lontano e al margine sia dai centri dell’arte tradizionale sia dai centri delle avanguardie.
Il percorso della mostra si apre con le opere di Dubuffet, tra cui La Vie Pastorale II (1964), i cui soggetti, colori e linee rappresentano una sintesi della sua poetica, e prosegue con una selezione di lavori realizzati da artisti che aderiscono all’Art Brut raccolte dallo stesso Dubuffet tra il 1945 e il 1976 (le opere fanno parte oggi della collezione del museo di Losanna), insieme ad altri documenti d’archivio. Al termine del percorso sono esposte opere incentrate sui temi delle credenze e del corpo realizzate nel periodo compreso tra il 1945 fino ad oggi, di autori provenienti da tutto il mondo.
Tra questi lo stesso Jean Dubuffet, presente con numerosi lavori tra cui il meraviglioso olio su tela Regard en arrière (1954); Gaston Dufur, la cui opera é stata scelta come simbolo della mostra stessa; Laure Pigeon, artista molto vicina a credenze ancestrali come lo “spiritismo” che si manifestano infatti nella sua ricerca artistica; Aloïse Corbaz, che produce all’interno di un ospedale psichiatrico dove viene rinchiusa a partire dal 1918 poiché diagnosticata schizofrenica; Carlo Zinelli, Charles Boussion, Giovanni Battista Podestà, con le sue sculture colorate che indagano la dialettica tra bene e male; Augustin Lesage, il quale afferma che i suoi minuziosi lavori siano dettati da spiriti con cui entra in contatto, stessa cosa per la produzione di Madge Gill. Infine, le meravigliose maschere di Angelo Meani, realizzate con le stoviglie rotte che i grandi magazzini gli mettono a disposizione durante gli anni ’60 e ’70 del ‘900, che giocano sul rapporto dicotomico di vero e falso. La forza della mostra del Mudec è quella di far proprio un inconsueto punto di vista: quello degli artisti outsider, di coloro che hanno scelto di tener fede senza compromessi al proprio personalissimo modo di essere e di attraversare il mondo.
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