La mostra Equilibri Instabili di Giuliana Balice alla Fondazione Sabe per l’arte di Ravenna ha il significato di «una riscoperta sistematica dei valori di un’artista le cui inquietudini sono ancora capaci di sorprendere», scrive il curatore Italo Tomassoni.
La selezione di opere esposte documenta un percorso condotto con estrema coerenza formale dalla fine degli anni Sessanta agli anni Dieci del Duemila. Un percorso frutto di una ricerca che «sia pittorica che plastica, è costantemente sorretta da tutta una severa attività di progettazione grafica che satura la pagina e funge quasi da radiografia assonometrica dei volumi delle opere. É animata dalla convinzione che la coscienza dell’atto creativo non sia separabile dall’oggetto artistico e che tale oggetto esiste indipendentemente dalle categorie dello spazio e del tempo che definiscono l’oggetto naturale o storico», scrive il curatore nel testo del catalogo che accompagna la mostra.
Il significato culturale di questa mostra parte dal confronto dell’opera di Balice con il contesto degli anni Sessanta: «Va ricordato – scrive Tomassoni – che nella produzione giovanile napoletana, assume rilievo sintomatico una stilizzazione della forma che, al di là delle regole dell’accademismo, accentua l’importanza di componenti geometriche che scandiscono le composizioni sia nella figura che nel paesaggio; componenti che è giusto evidenziare perché fanno presagire gli sviluppi futuri della sua ricerca. Ed infatti una vera e propria rivelazione della raggiunta maturità linguistica di Giuliana Balice si manifesta a Milano nel 1962, quando l’artista realizza una serie di opere grafiche che intitola Lampi geometrici. Queste opere si pongono come una effettiva illuminazione del ruolo centrale che la geometria, da allora, avrebbe svolto in tutto il successivo sviluppo del suo immaginario. Il paradigma geometrico diventa infatti per Giuliana Balice una linea guida che si articola lungo una duplice direzione. Da un lato rappresenta un terreno di indagine per approfondire la natura a-priori (tautologia) del mezzo espressivo; dall’altro crea le condizioni per aprirsi potenzialmente allo spazio esterno predisponendosi a collegamenti puntuali con l’ambiente».
Abbiamo intervistato Italo Tomassoni, per conoscere più da vicino la poetica analitica di Giuliana Balice.
Come ha conosciuto Giuliana Balisce e quale percorso di approfondimento vi ha uniti arrivando, oltre che alla mostra, a una monografia?
Italo Tomassoni: «Nel 1968 Giuliana Balice mi chiese di presentare una sua personale a Firenze. Erano gli anni in cui era maturata la lezione che portò alla mostra The Responsive Eye (1965) al MoMA di New York e della razionalità delle derivazioni neoplasticiste e concretiste alle quali anche Giuliana si ispirava. Due anni dopo tornai sul tema presentando una monografia su di lei al Centro Rizzoli di Milano, insieme a Gillo Dorfles. Poi silenzio. Ai primi del Duemila Giuliana mi invitò a Milano a visitare il suo atelier. Non la vedevo da trent’anni. Ebbi la percezione che la sua opera si configurasse come valore emblematico di un’idea lucida della geometria quale sistema significante. Nulla era apparenza o effetto di superficie ma tutto era prodotto di un’attitudine strutturale che permeava la serie. Una ricerca non subalterna alle vicende coeve dell’Arte Programmata dalle quali Giuliana prendeva le distanze disinteressandosi del lavoro di gruppo e dei meccanismi di legittimazione del sistema. Si trattava di un orizzonte coerente sufficiente a stimolare in me la spinta per una raccolta sistematica dei dati e dei documenti, la stesura di un saggio monografico e una mostra che riproponesse una storia ingiustamente dimenticata».
Come presenta Giuliana Balice a un pubblico che, non conoscendola, vorrebbe approfondirla?
Italo Tomassoni: «Quella di Giuliana Balice è una vicenda sulla quale è calata una inspiegabile disattenzione nonostante la sua attività sia rimasta costantemente alimentata e sempre segnata da una straordinaria qualità tecnica e progettuale. Ho quindi ritenuto che fosse utile, anzitutto, ricostruire in termini organici l’intero arco della ricerca dell’artista dagli anni napoletani dell’Accademia alla produzione milanese matura e tarda, fino ad oggi. Siamo in presenza di una vera e propria ‘poetica analitica’ della scultura contemporanea, espressione di una creatività che, tanto in scultura quanto in pittura, non preesiste alle forme ma si attua con esse, lungo un percorso che trova giustificazione nell’attualità del suo rivelarsi. L’approfondimento dell’opera dell’artista permette di evidenziare un’esperienza di elaborazione formale unitaria che riflette sul proprio statuto e ne opera ogni volta, radiograficamente, la diagnosi visiva».
Equilibri Instabili è il titolo della mostra e anche un ciclo di lavori avviato negli anni Novanta. Che valore ha?
Italo Tomassoni: «Equilibri Instabili e il titolo del volume monografico Una Geometria Inquieta (Skira 2022) sono definizioni che segnalano, o meglio costituiscono, il rapporto problematico di un’opera in cui una trascendenza ideale si misura con l’immagine visiva e questa con la sfera del Vero e del Reale. Un confronto che indaga l’instabilità e genera un’inquietudine che non si risolve mai in incertezza».
Come è cambiata negli anni la ricerca di Giuliana Balisce e come la mostra restituisce il suo percorso artistico?
Italo Tomassoni: «Dopo gli anni di Accademia a Napoli, Giuliana Balice si impone una disciplina rigorosa nella quale il pensiero della geometria ispira le forme e guida la tecnica che le materializza. Le sue soluzioni, mai assillate dall’estetico e dal nuovo, scoprono la radice di un primato creativo esperito come condizione specifica dell’artistico, codice di un sistema che si muove in un cerchio figurale che costruisce ed unifica».
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