Il lavoro del celebre fotografo canadese Edward Burtynsky, solitamente incentrato sull’indagine di quelle che Cal Flyn chiamerebbe “isole dell’abbandono”, approda in Puglia con esiti sorprendenti. La Fondazione Museo Pino Pascali, a pochi giorni dall’assegnazione del premio Pascali per l’anno 2022 all’artista Nico Vascellari, ospita la mostra “Edward Burtynsky: Xylella Studies”, un’intensa testimonianza del violento attacco del batterio sugli alberi d’ulivo pugliesi, un tempo rigogliosi e verdissimi, ritratti poi pallidi e senza vita. Uno stravolgimento naturale e paesaggistico causato questa volta non dall’essere umano, ma da un agente patogeno “naturale” chiamato Xylella Fastidiosa, capace di divorare rapidamente la pianta, causandone spesso alterazioni che conducono alla morte del soggetto infestato.
A portare all’attenzione dell’artista questo triste fenomeno ci ha pensato la Fondazione Sylva, nata nel 2021 con l’impegno di rigenerare il paesaggio attraverso attività di rimboschimento, la quale ha ospitato nel Salento il fotografo canadese che si è ritrovato davanti gli scheletri di legno colpiti dal batterio che, come lui stesso ha potuto approfondire, «ha un tasso di mortalità del 100%, l’intero Salento, il tacco d’Italia, è in rovina: oltre 20 milioni di alberi sono andati distrutti. Abbiamo unito le nostre forze per raccontare questa storia attraverso fotografie e filmati». Nel concreto, i fondi generati dalla vendita di queste fotografie serviranno a finanziari i processi di rinascita di cui la Fondazione si fa portavoce.
La mostra si compone di 12 immagini: un percorso circolare che esalta il processo di lento decadimento dall’albero a dei pezzi accatastati di legna, brandelli dell’albero che fu. Immagini di forte e immediato impatto emotivo che colpiscono lo spirito più profondo dello spettatore spingendolo a ricreare un’unità, la rievocazione di un’unità perduta. La prima opera, Xylella Studies #2, si lega evidentemente con la fortunata serie Anthropocene, in particolare con l’opera Clearcut #1 – Palm Oil Plantation, dove l’artista esaspera i contrasti morfologici della natura tra due opposti spesso inconciliabili: vita e morte. Accade, osservando l’opera di apertura, una fotografia aerea di una macchia lussureggiante e un’altra ormai tristemente sconfitta, di dare importanza ad un gioco di contrasti che disorienta e porta lo sguardo verso la vita, quasi a non voler riconoscere il peso che si porta addosso.
La prosecuzione dell’esperienza di visita spinge lo spettatore ad essere consapevole del processo di logoramento del ciclo naturale fino a rivolgersi al repertorio di certi boschi incantati dove gli alberi prendono vita: è il caso dell’opera Xylella Studies #20 nella quale dal tronco si leva una figura che ricorda quello di un uomo sfiancato immerso in un clima di lenta sospensione, è lo stesso artista ad attingere alla sfera del magico con queste parole: «I vecchi alberi morenti paiono dare vita a una foresta incantata. Il mio non può essere, per quanto scientifico, un lavoro distaccato, c’è della bellezza anche nel ritrarre la tragedia, altrimenti non saremmo qui a guardare queste foto». Il cerchio si chiude con un cumulo di rami, Xylella Studies #16, un mosaico ligneo di pezzi incastrati in modo armonico e disperato. “Nel caos c’è la fertilità”, sosteneva Anaïs Nin ed è questo il senso più profondo del lavoro di Burtynsky, uno scenario apocalittico in cui emerge prepotente il verde circostante che ci ricorda che c’è vita, dopotutto.
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