Sì, è lei. È proprio lei. Perché, quando si entra nella grande exSala Enel del MACRO e si vede il primo lavoro esposto nella mostra personale romana, immediatamente non si può non pensare che, effettivamente, non sia un suo “autoritratto”. Non a caso, Autoritratto al lavoro è non solo il titolo della grande antologica, curata da Luca Lo Pinto e allestita nel museo comunale ma, anche, il titolo di uno dei lavori che meglio rappresenta Elisabetta Benassi. O meglio, quello che, con un incastro perfetto, racchiude tutti i tratti fondanti della sua ricerca artistica, che incarna quei cortocircuiti cui spesso i suoi lavori innescano.
«Questa invece sono io – dichiara, infatti, l’artista -, mi vedete a riposo in un momento di pausa, a motore spento: Autoritratto al lavoro. L’artista come macchina. Macchina da lavoro, una motozappa delle Officine Meccanica Benassi. Moto Benassi si legge in rilievo sul motore». Nata a Roma (1966), dove abita da sempre, vien anche da dire, parafrasando una scena iconica del film Un sacco bello di un altro grande romano, che Elisabetta Benassi «Non è romana così, ma cosììì!!».
Dunque, il lavoro che apre il percorso espositivo è Bettagol (2000), un “chiodo” (giacca) in pelle rossa appeso a un chiodo di un tramezzo, che sulla schiena ha, per l’appunto, la scritta Bettagol, ovvero l’alter ego dell’artista, protagonista dei video Timecode (2000) e You’ll Never Walk Alone (2000). Entrambi su musica e dialoghi tratti da Uccellacci e uccellini, di Pier Paolo Pasolini (1966), e con la presenza di Elisabetta Benassi e “Pier Paolo Pasolini” – Davide Leonardi. Il primo è un nostalgico giro in moto per alcune periferie romane, il secondo vede l’artista impegnata in una partita di pallone con lo scrittore nato a Bologna e vissuto nel Friuli.
Piccolo inciso: meritevoli di un particolare sguardo sono pure i tramezzi, nota distintiva della mostra, che magistralmente gestiscono il difficile spazio della grande sala. Realizzati con gesso alfa, ideati dall’architetta Ilaria Benassi, su di essi sono lasciate ben in vista le tracce delle casseforme, a suggerire, inoltre, l’idea delle casse che trasportano le opere, nonché le tavole dei cantieri. Creano un percorso armonioso, quanto scenografico, senza un andamento cronologico né tematico, e ritagliano tanti ambienti quante sono le opere in mostra, in modo tale che tutt’e venticinque abbiano il proprio palco d’onore e la “giusta distanza”.
Coprendo un arco temporale che va dai primi anni del 2000 fino ai nostri giorni, i lavori esposti ripercorrono la carriera dell’artista e, al contempo, scrivono i tratti fondanti della sua ricerca.
Tutta la sala è sovrastata dall’incalzante rombo del motore di un’automobile rossa che gira intorno a una scavatrice intenta a polverizzare le pietre di una cava, del video Yield to Total Elation (2006). Potente non per l’audio ma per la portata simbolica, è Senza titolo (The Dry Salvages, 5729 Aureole 1, 2013), una piccola parte di 330 (rispetto al totale di 10mila) mattoni di diverse altezze, fatti a mano con la sabbia del Polesine, a ricordare la grande alluvione del Po del 1951, soprattutto nella provincia di Rovigo, su ognuno del quale è riportato il nome di un detrito spaziale in orbita intorno alla Terra: nuovamente una riflessione sulle conseguenze del progresso tecnologico.
Ironica, quanto preziosa, è la serie di acquarelli su carta di All I Remember (2010–in corso), che riproducono didascalie, annotazioni, timbri, apposti sul retro delle fotografie raccolte negli archivi della stampa italiana e internazionale, che raccontano una storia parallela rispetto all’immagine dello scatto (ad esempio: -Rapimento MORO: la “fiat 128”- (ANSA FOTO)-Roma, 17/3/1978-La polizia ha ritrovato stama/ni alle 4,20 la “Fiat 128” bianca con la quale i rapitori/di Moro si sono allontanati ieri mattina da via Mario Fa-/ni insieme con la “132” sulla quale era stato caricato il/presidente della DC. la “128” era in Via Licinio Calvo,la/stessa strada dove è stata trovata,ieri,la “132”.Nella “128”/bianca ci sono tracce di sangue (FOTO) sul bordo dello spor-/tello anteriore destro.).
Ma anche i grandi tappeti che riproducono in grandissimo formato dei telegrammi, oltre a richiamare la mail-art, a ricordare come comunicavano in passato le persone, evidenzia anche particolari relazioni, come Telegram from Buckminster Fuller to Isamu Noguchi Explaining Einstein’s Theory of Relativity(2009), uno dei grandi tappeti (500 x 618 cm) in lana annodato a mano. È sì un’indagine sull’archivio, sulla memoria, ma anche il racconto indiretto di una quotidianità che, nel suo silenzioso e indifferente scorrere, lascia delle invisibili tracce, raccolte dall’artista, altrimenti dimenticate che, invece, marcano avvenimenti e azioni che, in qualche modo, impercettibilmente deviano il regolare corso di certe vicende e alcune storie. Mette, così, in discussione non solo l’eredità culturale ma, pure, l’identità contemporanea, con quella modalità, sperimentata a partire dagli anni rinascimentali, di ri-attualizzare il passato. Una Storia recente a cui l’artista consegna una forma materiale, fisica, tangibile, con uno specifico peso, rendendo visibile e tattile qualcosa di altrimenti astratto e immateriale.
Senza un particolare media, ma spaziando dal video, alla fotografia, alla scultura, all’installazione, alla pittura, sicuramente figlia delle istanze duchampiane, come di quelle poveriste (Shadow Work, 2017, un muro attraversato da tappeti orientali come non possono evocare Alighiero Boetti?), attraverso i suoi lavori Benassi fa compiere un viaggio in quelle pagine di cronaca, a molti poco nota, che, contrariamente, passerebbe inosservata, nonostante il peso delle sue conseguenze. E, in molti casi, porta, altresì, all’estrema conseguenza la warholiana dichiarazione (provocatoria?), del 1963, I want to be a machine, come nel video Tutti morimmo a stento (2004): dopo un lento passaggio sulle figure de La Parabola dei ciechi di Pieter Bruegel il Vecchio (1568 circa), la telecamera riprende quanto stipato in un demolitore, dove uomini-motocicletta (motomen), ormai rottamati, si confondono con altri elementi di veicoli: la tecnologia al servizio dell’uomo che trasforma l’uomo in un meccanico esecutore e viceversa.
La mostra di Elisabetta Benassi al MACRO di Roma sarà visitabile fino al 25 agosto 2024.
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