La mostra antologica Silent Studio di Mark Manders, visitabile fino al 16 marzo 2025, è stata ideata a coronamento di una lunga relazione fra l’artista e la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo iniziata nel 1997 in occasione del Guarene Arte 97, a cui l’artista partecipò con una delle opere presenti in mostra, Fox/Mouse/Belt (1992). Il progetto espositivo proposto da Follini, così come suggerisce il titolo della mostra, intende riproporre lo studio dell’artista negli spazi della Fondazione, riadattandone gli elementi peculiari all’architettura dell’edificio. Il percorso espositivo si snoda attraverso più ambienti – fra cui il corridoio e il bagno – e al suo interno è presente il corpus di opere più rappresentative della produzione artistica di Manders: sculture, tele, disegni, fogli di giornale, mobili e oggetti di varia natura, tutti interamente realizzati ex novo dall’artista.
Sono tre gli aspetti principali sviluppati da Manders nel corso della sua carriera e che coesistono all’interno di questa mostra: una profonda riflessione e una continua sperimentazione in ambito scultoreo; la compresenza di ciò che è reale e di ciò che è fittizio, rendendo labile il confine tra realtà e finzione; una riflessione artistica fortemente influenzata dagli aspetti narrativi, dalla parola e dal linguaggio. Questi elementi coabitano nel progetto di lungo corso Self-portrait as a building – riproposto in parte alla Sandretto – in cui Manders, attraverso la creazione di oggetti del quotidiano, crea una narrazione del proprio sé che però rimane astratta e non diventa mai del tutto personale.
Linguaggio e finzione sono i due elementi principali della riflessione sviluppata nella prima sala a sinistra dello spazio espositivo: qui si fa riferimento a Room with all existing words (2005-2022), progetto in cui, fra le altre opere, sono presenti una serie di quotidiani realizzati dall’artista e il cui corpo del testo contiene presumibilmente tutte le parole esistenti sul dizionario. Una di queste diventerà in seguito il fulcro delle sue ricerche, sciapode: alla base di un mito fallito, descrive un personaggio caratterizzato da un singolo piede così grande da essere usato da egli stesso per farsi ombra. Raffigurato dall’artista nella tavola in legno Skiapod 57 (2023) presente in questa sala, lo sciapode diviene l’espediente attraverso cui l’artista sviluppa il binomio realtà/finzione, attraverso la creazione di una narrazione i cui elementi inventati da Manders non sono più distinguibili da quelli reali, mostrando quanto le nostre conoscenze siano vulnerabili e condizionabili.
Le opere più rappresentative del lavoro di Manders sono però le sculture, che occupano gli spazi del corridoio e della sala più ampia riservata alla mostra. Un’innovazione in questo campo sviluppata sia da un punto di vista concettuale che nella ricerca dei materiali. Le opere sono interamente realizzate in bronzo, nonostante alla vista appaiano come fossero di argilla, trasmettendo un’idea di precarietà e vulnerabilità. L’apparente incompiutezza delle opere, così come le scelte allestitive che riproducono alcuni elementi dello studio di Manders, divengono l’espediente narrativo di una rappresentazione fittizia e atemporale. La lunga gestazione del suo lavoro, suggerita dalla datazione di molte sue opere, mette in luce l’aspetto continuativo del suo lavoro di ricerca. La mostra Silent Studio quindi risulta necessaria per comprendere la complessità della produzione artistica di Manders, in cui le singole opere fungono da tasselli per un unico lavoro di ricerca che non si interrompe mai.
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