“It’s time of total transformation” si legge nel video animato presentato da Emma Talbot alla personale “The Age / L’età” che corona il suo percorso di vincitrice dell’ottava edizione del Max Mara Prize for Women (2020-2022), realizzato in collaborazione dalla Collezione Maramotti e dalla Whitechapel Gallery di Londra. Benché, come vedremo oltre, la tematica del video sia diversa, accedendo all’ex edificio industriale che oggi ospita la Collezione Maramotti e entrando nel percorso espositivo viene spontaneo chiedersi quale ruolo possano giocare l’arte, gli artisti le collezioni private, le istituzioni di lungo corso e, sopratutto, le loro scelte in questo momento di grande trasformazione. Una risposta attiva, concreta e in costante evoluzione è proprio il Max Mara Art Prize for Women, che si impegna a sostenere la ricerca artistica femminile, nello specifico di artiste attive nel Regno Unito.
Non a caso l’inaugurazione della mostra che conclude i due anni di ricerca dell’artista legati al premio ha coinciso, lo scorso 23 ottobre, con l’annuncio delle cinque finaliste della nona edizione (2022-2024), alla presenza della nuova direttrice della Whitechapel Gallery, Gilane Tawadros, allora entrata in carica da poche settimane: Rebecca Bellantoni, Bhajan Hunjan, Onyeka Igwe, Zinzi Minott e Dominique White, tra le quali sarà proclamata la vincitrice nella primavera del 2023 (ne avevamo parlato qui).
Il percorso che ha condotto Emma Talbot alla realizzazione delle opere esposte a Reggio Emilia fino al 13 febbraio 2023, condensano l’essenza del Max Mara Art Prize, che grazie alla sua giuria, si concentra sull’individuazione e sul sostegno di talenti in crescita: in questo caso un’artista che per ragioni indipendenti dalla sua volontà è stata momentaneamente costretta a mettere da parte la propria ricerca, ma non ha desistito e nel 2020 ha vinto l’ambitissimo riconoscimento, che le ha permesso di riprende la sua carriera con la dedizione che necessita e le opportunità che merita.
Durante la residenza d’artista di sei mesi organizzata appositamente per lei dalla Collezione Maramotti, Talbot ha esplorato contesti, visitato luoghi, conosciuto pratiche, incontrato persone, e imparato anche l’italiano. Sono state Reggio Emilia, Catania e Roma le tappe del suo viaggio, in cui si è dedicata allo studio dell’artigianato tessile, della permacultura, della mitologia classica, che l’hanno ispirato e ne hanno arricchito l’alfabeto, al punto da prendere uno studio anche a Reggio Emilia e organizzare la propria vita tra Londra e l’Italia. Questo, hanno spiegato gli organizzatori, «è motivo di orgoglio per la Collezione, che nel progetto si occupa di seguire tutta la fase di residenza, perché evidenzia ancora di più il ruolo di supporto e slancio che il premio ha per la carriera di queste artiste».
Uno slancio che fin dalla sua prima edizione, nel 2005, ha fatto del Max Mara Prize for Women un come punto di riferimento per la sua capacità di intercettate e sostenere pratiche artistiche e visioni rilevanti per la contemporaneità (le altre vincitrici sono state Helen Cammock, Emma Hart, Corin Sworn, Laure Prouvost, Andrea Büttner, Hannah Rickards e Margaret Salmon). Esempio ne è l’assegnazione della quarta edizione (2011-2013) a Laure Prouvost, che nel 2013 vincerà il Turner Prize e nel 2017 rappresenterà la Francia alla Biennale di Venezia. Mentre Emma Talbot, per tornare all’edizione appena conclusa, quest’anno era presente alla 59ma Biennale di Venezia, nelle sale de “Il latte dei sogni/The Milk of Dreams”, curata da Cecilia Alemani.
Dal viaggio di Emma Talbot in Italia sono fioriti dei lavori che riflettono su alcune delle grandi tematiche del presente, in particolare – ha ricordato la Collezione Maramottti – «sulla rappresentazione e l’invecchiamento, il potere e la governance, sullo sfruttamento dell’ambiente, ma che diventano anche riflessioni sulla vita, sulle relazioni umane, sulle decisioni di fronte a cui ciascuno si trova. Per il Max Mara Art Prize for Women, Talbot immagina un ambiente futuro in cui l’umanità si trova di fronte alle conseguenze disastrose del tardo capitalismo e, per poter sopravvivere, deve affidarsi a metodi più antichi e olistici di costruzione e di appartenenza, metodi che rielaborano le strutture ancestrali del potere e celebrano il mondo naturale».
Al centro della grande sale che ospita la mostra (le cui opere saranno acquisite dalla Collezione) il pubblico viene catturato da due giganteschi “arazzi” dipinti su seta che intrecciano immagini e parole, attorno a cui si possono osservare disegni, una scultura e un video animato di grande impatto e profondità. Quest’ultimo lavoro rilegge le dodici fatiche di Ercole e la protagonista è una donna non più giovane ispirata alla figura più anziana dell’opera di Gustave Klimt “Le tre età della donna” (1905), che Talbot ha visto alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma. Il video, che condensa disegno, animazione, musica (scritta dalla Talbot stessa) e narrazione, diventa ipnotico per l’osservatore, trascinato in un viaggio in cui si intrecciano citazioni dell’arte antica e composizioni visiva con un tocco quasi psichedelico, che intreccia l’arte social engaged alla riflessione intima e personale, capace di toccare corde emotive personali e insieme riflettere su grandi temi attuali e collettivi, come solo le opere di spessore sanno fare.
“The Age / L’età” è accompagnata da un libro e da un breve documentario che racconta l’esperienza di Talbot durante i sei mesi di residenza in Italia, che potete trovare qui sotto.
In questo periodo gli spazi della Collezione Maramotti, nell’ex stabilimento di produzione della casa di moda Max Mara, offrono al visitatore altri tre percorsi espositivi: la personale di Jenna Gribbon “Mirages”, la prima dell’artista americana in un’istituzione italiana (fino al 19 febbraio 2023), la personale di Carlo Valsecchi “Bellum” (fino al 31 dicembre 2022) e la collezione permanente, riallestita nel 2019.
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