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Epifanie e dialoghi di Petra Feriancová a Palazzo Collicola di Spoleto
Mostre
Ad aprire la mostra Eternity, her responsive body and other stories di Petra Feriancová a Palazzo Collicola di Spoleto, realizzata con fondi dello Slovak Arts Council e con il supporto della galleria Gilda Lavia di Roma, è un artificio scenico di gusto barocco. Nel tentativo di rievocare i pulpiti cinquecenteschi, l’artista realizza una balaustra ricoperta da un drappo rosso dalle dimensioni monumentali, il cui panneggio plissettato ricorda nelle bombature un ventre femminile gravido. Sul rimando alla questione di genere e in senso più ampio alle dinamiche di potere che regolano le relazioni, si interpreta una parte della produzione di Feriancová esposta, la quale crea dialoghi e rotture con gli spazi musealizzati del Palazzo: la suggestione che evoca Untitled, spazio di dibattito e dissenso, è ancora più emblematica cogliendo la citazione alle figure porporate, emblemi di potere in epoca controriformistica, i cui ritratti decorano le pareti della sala.
Tutto il percorso espositivo, a cura di Davide Silvioli e Thiago de Abreu Pinto, rivela la precisa volontà di Feriancová di tracciare una parabola complessa e diversificata dell’esistenza, non circoscritta a quella umana ma intesa come passaggio residuale di ogni creatura, proponendo opere che riflettono su concetti come la mercificazione del corpo femminile asservito a strumento generativo, fino al memento mori con l’ausilio di carcasse e resti animali.
La narrazione sul femminile, invece, è coniugata con diversi medium ed espedienti, che sembrano includere all’interno della propria concettualità un dialogo continuo e intricato con la morte, come in una struttura circolare che inizia con il termine della vita e si conclude con il principio; rispetto a questa simbologia, risulta particolarmente esplicativa la Sala degli Arazzi, nella quale le proposte allestitive concepite da Feriancová rendono ancor più colto e stratificato il gioco di rimandi che sembra instaurarsi tra luogo e opere.
Ad accogliere il pubblico è Unititled, installazione che, apposta in parte sulle consolle settecentesche della stanza, si compone di teste di bovino ricoperte di cera vermiglia e posizionate su un tripudio di fiori di amaranto colorati di rosso: il riferimento al concetto del tempus fugit tanto in voga in epoca barocca si presta alla costruzione dell’opera, in cui la presenza dell’amaranto non solo rievoca una cristallizzazione dell’energia vitale, ma rimanda anche ad un copioso rivolo di sangue. L’orchestrazione metaforica della sala si conclude con una composizione costituita da una sovrapposizione di svariate edizioni de L’isola del tesoro di Robert Louis Stevenson, intervallate da alghe ed elementi spugnosi: il titolo del volume che interpella il personaggio del dipinto al di sopra, probabile reduce di guerra che però richiama esteticamente la figura del pirata, chiarisce anche la dimensione politica in senso lato a cui afferisce la ricerca di Feriancova, che evoca in questo caso l’esperienza anarchica della pirateria e quindi, di fatto, una sovversione dello status quo.
Risulta evidente, nell’apprezzamento della mostra, come l’artista abbia deliberatamente rivelato la volontà archivistica di numerose manifestazioni di civiltà umana e come l’interazione con l’ambiente abbia prodotto risultati che richiamano la memoria collettiva condivisa. Le forme che l’artista rielabora risultano quindi atemporali, poiché ricodificano simboli e messaggi di epoche lontane che però si dimostrano attuali nelle manifestazioni estetiche. A tal proposito, meritano una considerazione a latere la serie di lastre marmoree disseminate nelle sale, spesso al centro, che convogliano l’attenzione dello spettatore, oltre che palesare l’elemento risolutivo per la lettura dello spazio: dalla metafora sulla farfalla come emblema di essere che termina la sua missione esistenziale nella maternità di A butterfly is…, in relazione con una Madonna con Bambino esposta nella Sala Verde, fino a considerazioni circa la brevità del passaggio umano sulla terra, della sua natura effimera e sulla degradazione progressiva del corpo, in opere come Our imperfect body… e C’è poco tempo.
Percorrendo le sale del piano nobile di Palazzo Collicola si ha la sensazione di giungere a una progressiva acquisizione di consapevolezza dell’effettiva sussistenza umana, limitata e circoscritta a un arco temporale che ne consente solo una parziale comprensione ma ne garantisce l’inserimento all’interno dell’eterno ciclo cosmico. Petra Feriancová apre nuovi scenari su prospettive che si crede di aver già esplorato ma di cui ci si riappropria solo con la permanenza nel microcosmo dell’artista, che con un sapiente sistemi di rimandi e interpellanze alla storia e al passato, consente di riconsiderare epifanicamente.