Incentrata sul sottile legame tra il vissuto e l’io, tra lo scorrere del mondo esterno e quello sanguineo del nostro essere emotivo, “(Co)Abito” è la mostra collettiva visitabile fino al 3 aprile 2022 da Incinque open art Monti, a Roma, spazio dedicato ai ari linguaggi dell’arte e della creatività, nato dall’unione di un gruppo di professionisti, artigiani, architetti e designer. Marta Cavicchioni, Alessandra Maio, Ilaria Margutti, Maria Carmela Milano, ReBarbus, Camilla Urso e Davide Viggiano sono gli artisti coinvolti, in collaborazione con Monica Cecchini, architetto e curatrice. Abbiamo raggiunto Alessandra Maio per farci dire di più.
Come nasce la collaborazione con Monica Cecchini e con Incinque Open Art Monti?
«L’artista ReBarbus e la curatrice e architetto Monica Cecchini mi hanno contattata e invitata a realizzare dei lavori nuovi sul tema dell’abitare e dell’abitarsi, argomenti che in questo momento storico hanno assunto per tutti noi ancora più importanza e che io stessa ho sentito il bisogno di indagare più volte negli ultimi due anni e che per questa occasione ho potuto esplorare con una sfaccettatura diversa. L’intento del progetto (Co)Abito è, dunque, da un lato quello di offrire sguardi e riflessioni su tali concetti, dall’altro quello di coinvolgere il pubblico anche attraverso dei momenti creativi in cui lo spettatore potrà sperimentarsi, dando forma alla propria idea di abitare: il 2 aprile si terrà, infatti, in galleria un laboratorio espressivo condotto da Silvia Adiutori e Camilla Urso».
In che modo le tue opere si inseriscono all’interno della collettiva (Co)Abito, ovvero che interpretazione offrono del tema proposto?
«In mostra ho portato due lavori: un’installazione e un libro d’artista. Nel primo, Icaro, ho rappresentato il mio equilibrio instabile, quello che ho raggiunto tra il dentro e il fuori, tra l’abitarsi e l’abitare. Cerco di procedere nel mezzo, assestando di volta in volta la mia rotta: le chiavi di casa, la sicurezza e l’abitudine da un lato e i sogni, quello che vorrei essere e i desideri, dall’altro.
Il secondo lavoro, Impressioni, nasce dal bisogno di rivalutare l’incontro, dalla volontà di ridargli importanza. Il mio tocco lascia un segno, impronte d’oro, attorno a cui nascono parole, come le emozioni che affiorano da un contatto. È nell’incontro che sono, che mi arricchisco, mentre nella solitudine inaridisco.
Questi lavori trovano eco e risonanza in quelli vicini: tra le opere esposte, infatti, si crea un rapporto fatto di richiami, un dialogo silenzioso che aggiunge sfumature e diverse modalità di lettura delle stesse: tra i muri antichi della galleria sono allestiti anche degli assemblage di Rebarbus, alcune sculture di cartapesta di Marta Cavicchioni, il video Togliere le parole di mano di Ilaria Margutti, sculture tessili di Maria Carmela Milano, alcune foto della serie Being my home di Camilla Urso e delle sculture in garza di Davide Viggiano».
Se e come il tuo percorso di formazione legato all’arteterapia ha influenzato tale lettura?
«Frequentare un corso di formazione in Arteterapia ha sicuramente aggiunto al mio pensiero nuove prospettive e anche nuovi interessi. Per quanto il mio fare arte sia molto intimista, trovo che la mia modalità di espressione stia pian piano cambiando, diventando più aperta, meno ermetica. Nei miei lavori dò forma alle mie emozioni, mi permetto di mostrarle e di osservarle in un modo diverso, consentendomi di ricontattarle, rielaborarle, e questo è anche quello che succede in un percorso di arteterapia. Studiare per diventare arteterpeuta mi sta, quindi, aiutando a riflettere sulla mia modalità espressiva e su ciò che mi trasmettono i miei lavori, ma non solo, sto trovando anche una risposta a quel senso di incompletezza che sentivo nel mio fare».
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