Fino all’1 aprile 2024, Palazzo Bonaparte di Roma ospita la più grande mostra di Escher mai realizzata, con circa 300 opere, nuove scoperte e grandi novità. Un disegno, in un disegno, in un disegno. Un’immagine, in un’immagine, in un’immagine. Così Escher, il matematico dell’arte grafica, torna a Roma dopo 100 anni, tra xilografie, xilografie di testa, litografie, linoleografie e mezzetinte.
Inquieto, riservato e indubbiamente geniale, Escher è l’artista che, con le sue incisioni e litografie, ha avuto e continua ad avere la capacità unica di trasportarci in un mondo immaginifico e impossibile, dove si mescolano arte, matematica, scienza, fisica e design. Maurits Cornelis Escher (1898-1972), l’artista olandese che, alla richiesta di Mick Jagger di disegnare un quadro o di mettere a disposizione un suo lavoro inedito da riprodurre sulla custodia per un LP, rispose: «Non posso assolutamente perdere tempo per la pubblicità. A proposito, la prego di dire al signor Jagger che non sono Maurits per lui, ma molto sinceramente, M. C. Escher».
L’artista le cui scale impossibili di opere come Relatività o Salita e discesa si ritrovano in film come Inception di Christopher Nolan, Harry Potter e la pietra filosofale, Il nome della rosa, Labyrinth, Suspiria, Squid Games, Una notte al museo 3. Escher, l’incisore e grafico olandese affascinato dall’infinito, torna nella città eterna grazie alla nuova sensazionale mostra firmata Arthemisia. In quella Roma dove Maurits Cornelis Escher si trasferì nel 1923, dove «La sera (…) disegnavo la meravigliosa, bellissima architettura di Roma di notte, che mi piaceva di più di quella alla luce del giorno». Nella Roma che amò e dove visse per 12 anni, dal 1923 al 1935, al civico 122 di via Poerio, nel quartiere di Monteverde vecchio. Nella città che Escher lascerà, a malincuore, nel 1935, per allontanarsi dal fanatismo del regime fascista, da lui considerato inutile e pericoloso.
Ma il periodo romano influenzerà il suo lavoro successivo, che lo vide prolifico nella produzione di litografie e incisioni soprattutto di paesaggi, scorci, architetture e vedute di quella città antica e barocca che lui amava indagare nella sua dimensione più intima, quella notturna, alla luce fioca di una lanterna. Le notti passate a disegnare, seduto su una sedia pieghevole e con una piccola torcia appesa alla giacca, sono annoverate da Escher tra i ricordi più belli di quel periodo.
In mostra a Palazzo Bonaparte sarà presente anche la serie completa dei 12 notturni romani prodotta nel 1934 – tra cui Colonnato di San Pietro, San Nicola in Carcere, Piccole chiese, Piazza Venezia, Santa Francesca Romana, Il dioscuro Polluce – insieme ad altre opere che rappresentano i fasti dell’antica Urbe come Roma (e il Grifone dei Borghese) del 1927, San Michele dei Frisoni, Roma (1932) e Tra San Pietro e la Cappella Sistina (1936).
Le opere esposte in questa mostra compongono una retrospettiva degli schizzi enigmatici e dei disegni paradossali dell’artista olandese. Il percorso espositivo inizia con le sue prime stampe e disegni realistici ispirati alla natura e ai paesaggi italiani per arrivare poi ad analizzare il lavoro svolto da Escher nell’ambito della tassellatura e della trasformazione di forme. L’obiettivo è quello di sottolineare come la metamorfosi sia diventata con il tempo una caratteristica fondamentale della sua arte, in grado di amalgamare fantasia e geometria. I capolavori più celebri dell’artista nascono dalle sue ricerche nell’ambito della matematica e rappresentano l’infinito attraverso immagini incredibilmente dettagliate, eseguite con estrema precisione.
Ancora oggi la comunità scientifica internazionale considera l’opera di Escher una pietra angolare delle interrelazioni tra arte e scienza. E, nonostante le sue conoscenze matematiche fossero prevalentemente visive e intuitive, l’artista ha giocato con architettura e prospettiva per dare forma a universi infiniti e coinvolgenti, carichi di meraviglia.
Molti i lavori esposti dove Escher si concentra su strutture geometriche che traggono ispirazione dalla natura. In una lettera spedita da Ravello scrisse: «Voglio trovare la felicità nelle cose più piccole, come una pianta di muschio di due centimetri che cresce su una roccia e voglio provare a lavorare a quello che desidero fare da tanto tempo: copiare questi soggetti minuscoli nel modo più minuzioso possibile». Una sezione della mostra è dedicata alle Tassellature, con le elaborate decorazioni geometriche in stile moresco.
Un altro giro di boa cruciale nel suo sviluppo artistico avviene infatti nel 1936, lasciata l’Italia, quando Escher viaggia nel sud della Spagna. In quell’occasione ha modo di visitare i celebri monumenti come l’Alhambra di Granada e la Mezquita di Cordoba, da cui trae ispirazione per uno studio metodico dei motivi utilizzati dagli artigiani del XIV secolo per decorare muri e archi delle architetture moresche. In seguito si appassiona alla tassellatura: decorazioni geometriche basate su triangoli, quadrati o esagoni che si ripetono, come piastrelle, per coprire un piano senza lasciare spazi vuoti. Questa sezione mostra come Escher modificò le forme puramente geometriche, alla base delle sue tassellazioni, con figure animate come animali o figure umane: caratteristica che divenne distintiva della sua arte, in cui fantasia, geometria e soggetti figurativi sono sapientemente combinati.
Altra sezione è dedicata alle Metamorfosi, trasformazioni che originano dalle tassellature. La trasformazione di un essere o di un oggetto in un altro di natura diversa, prende infatti le mosse dalla modificazione e successiva concatenazione di diverse tassellature. Egli crea così un mondo in cui diverse figure danno vita a vortici di trasformazioni da forme astratte a forme animate e viceversa. A questo tema Escher dedicò tre opere, tra il 1937 e il 1968. Metamorfosi II e Metamorfosi III, in particolare, sono universi circolari in cui una lucertola può progressivamente diventare la cella di un alveare o un pesce tramutarsi in uccello, che a sua volta si trasforma in un cubo e poi in un tetto, ecc. Il soggetto delle metamorfosi nelle sue opere si articola intorno a temi della ciclicità, dell’eternità e della continuità, concetti che egli riesce a concretizzare grazie all’intuizione di utilizzare le tassellature. A volte nelle metamorfosi interagiscono elementi antitetici ma complementari, come il giorno e la notte o il bene e il male, intrecciando gli opposti all’interno di una stessa composizione.
Segue una sezione dedicata alla Struttura dello spazio. Disegnare è un inganno. Percepiamo il mondo come qualcosa di tridimensionale, il disegno invece ha solo due dimensioni. Escher considerava questa come una situazione di conflitto che, se portata alle sue estreme conseguenze, generava illusioni e situazioni paradossali. Egli illustrò l’inganno che nasceva dalla rappresentazione del tridimensionale sul foglio bidimensionale in alcune sue stampe. In Mani che disegnano (1948), la mano che spunta dal foglio disegna la mano che la sta disegnando. La stampa rappresenta un paradosso con un doppio autoriferimento: le mani che si disegnano sono il disegno di un disegno.
A partire dalla metà degli anni ‘30, infatti, Escher si era staccato dalla rappresentazione euclidea dello spazio. Il suo crescente interesse per la matematica e la geometria passa attraverso lo studio e il fascino che esercitano su di lui sfere, superfici riflettenti, solidi geometrici o ancora superfici topologiche come il nastro di Möbius, un oggetto percepito come superficie a due facce ma che, a una più attenta osservazione, ne dimostra una sola. Potremmo parafrasare un suo commento alla litografia Mano con sfera riflettente (1935), in questo modo: la sfera, riflettendolo, racchiude in sé tutto lo spazio circostante, al cui centro si staglia proprio colui che la guarda; l’uomo è quindi il centro di questo universo.
Il complicato gioco sulla questione della rappresentazione bidimensionale di oggetti tridimensionali è nella spiegazione dello stesso Esher dell’opera Drago (1952): «Per quanto questo drago cerchi di essere spaziale, rimane completamente piatto. Nella carta su cui è stampato, sono infatti praticati due intagli piegati in modo da lasciare due aperture quadrate. Ma questo drago è una bestia ostinata e, nonostante le sue due dimensioni, persiste nell’assumere di averne tre, per cui infila la testa attraverso uno dei fori e la coda attraverso l’altro».
Le architetture e le composizioni geometriche di Escher si caratterizzano per aberrazioni prospettiche che, a prima vista, si presentano come perfettamente plausibili ma che, dopo una più attenta ispezione, si rivelavano impossibili. La sezione sulle Costruzioni impossibili raccoglie le illusioni ottiche e la rappresentazione dell’infinito. Questa sezione analizza come Escher abbia cercato di forzare oltre ogni limite la rappresentazione di situazioni impossibili, ma che all’apparenza sembrano coerenti, attraverso una selezione di alcune delle sue opere più famose: Salire e scendere, Belvedere, Cascata, Galleria di stampe e Relatività. Questi capolavori riflettono un aspetto essenziale dell’arte del grafico olandese: il suo complesso rapporto con la matematica, la geometria e le composizioni infinite.
In occasione della mostra romana, è stato pubblicato il volume Escher a cura di Federico Giudiceandrea e Mark Veldhuysenla. La monografia ripercorre la poetica di questo artista visionario attraverso oltre 300 opere suddivise in otto sezioni: Gli inizi; Italia; Tassellature; Metamorfosi; Struttura dello spazio; Paradossi geometrici; Lavori su commissione; Eschermania. Opere che comprendono nuove acquisizioni e molti dei pezzi più significativi che hanno reso Escher famoso in tutto il mondo: dall’ormai iconica Mano con sfera riflettente (1935) a Vincolo d’unione (1956), da Metamorfosi II (1939) e Giorno e notte (1938) alla celebre serie degli Emblemata e alla serie completa dei 12 notturni romani prodotta nel 1934.
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