Nel panorama dell’arte contemporanea veneziana, la MAGMA Gallery si distingue per la sua ricerca di espressioni artistiche che trascendono il tempo e lo spazio, immergendo gli osservatori in mondi alternativi e suggestivi. È in questo contesto che si inserisce “Where the Gods Reign”, la prima personale di Francesca Miotto, artista veneziana nata nel 1985, che esplora le profondità di un mondo ancestrale attraverso la pittura.
I dipinti di Francesca Miotto sono finestre aperte su dimensioni al di là della nostra realtà quotidiana. Con una maestria sorprendente, l’artista ci trasporta in un viaggio attraverso una foresta primordiale, dove le radici, le liane e gli alberi diventano simboli di un legame antico e inscindibile con la natura. È come se le tele stesse vibrassero di una vitalità primigenia, invitando lo spettatore a lasciarsi alle spalle il grigiore della modernità e ad immergersi in un universo misterioso e affascinante.
“Alla costante ricerca di un contatto con un mondo ancestrale”, i tuoi dipinti sembrano porsi fuori dal tempo, su cosa si concentra la tua ricerca artistica?
«Immagino un tempo remoto nella storia dell’uomo o un futuro ipotetico, dove non esiste una distinzione netta e assoluta dell’uomo con il mondo animale e l’elemento naturale.
Mi rifaccio ad un mondo pagano privo dei condizionamenti negativi che ci hanno accompagnato in questi ultimi millenni. L’aver fatto dell’uomo una specie superiore rispetto a tutte le altre ci ha allontanato dal nostro primo habitat: la foresta. Sentirsi in simbiosi con essa è qualcosa che desideriamo inconsciamente ma che al tempo stesso rifiutiamo ed è per questo che vorrei portare l’osservatore, anche solo per un momento, in questo mondo che abbiamo dimenticato e che sembra ormai lontano dal nostro modo di vivere e pensare.»
Osservando le tue opere ci si trova immersi in un groviglio di liane, radici, alberi e foglie, che ruolo ha la natura nei tuoi lavori?
«Ho sempre ricercato la natura nei miei lavori ma non ero mai soddisfatta, sentivo che mancava qualcosa. E’ stato un viaggio in Colombia a farmi capire che ciò che noi banalmente chiamiamo natura è un concetto radicalmente diverso da quello che crediamo di conoscere. La mia breve esperienza nella foresta amazzonica ha fatto riemergere alcune sensazioni sopite che difficilmente riesco ad esprimere a parole. La foresta, prima di essere una risorsa, è qualcosa di vivo.
Non si tratta del bisogno di esotismo ma di appartenere a qualcosa. La pittura è infatti per me un modo per poter evadere da una realtà a cui non sento di appartenere, considero i miei dipinti delle porte per accedere ad un mondo altro. Gli alberi sono una costante nel mio immaginario: in particolare per questa mostra mi sono lasciata ispirare dal ficus strangolatore, una specie che ho ritrovato anche qui in Italia. »
In che modo il testo “La caduta del cielo” di Bruce Albert ha influenzato la tua mostra “Where the Gods Reign”?
«La caduta del cielo è un testo potente.
Sono stata travolta dalla profondità del messaggio di questo libro. L’antropologo Bruce Albert ha raccolto e trascritto le parole di Davi Kopenawa, sciamano portavoce del popolo Yanomami, affinché vengano ascoltate lontano dalla foresta, in modo da far capire l’importanza che essa riveste per il suo popolo e per l’intera umanità.
Le sue parole mi hanno trasportato in un luogo lontano e misterioso, a cui ci si connette attraverso i sogni. Ci si accorge che la visione cosmologica, la connessione con la Terra-foresta attraverso il sogno, non è distante dalle culture pagane precristiane e fa parte di una conoscenza collettiva che per noi è diventata un concetto evanescente.
Gli antichi si connettevano agli dei attraverso l’uso di piante rituali e, non a caso, il titolo della mostra “Where the Gods reign” si ispira al libro di Richard Evans Schultes, botanico noto sopratutto per i suoi studi sull’uso delle piante da parte delle popolazioni indigene dell’Amazzonia colombiana. »
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