Dipinti astratto-figurativi ma, soprattutto, tele estroflesse, quadri “fasciati” trattati con resine e materie plastiche, colori organici e ancora slitte e un’auto da corsa. È attraverso una variegata serie di opere – accompagnate da manifesti, cataloghi, fotografie e documenti – che la Galleria Mattia De Luca inaugura SAL, la prima retrospettiva romana dedicata a Salvatore Scarpitta (New York, 1919 – 2007). Un nome italo-americano che, nell’arco della propria carriera, ha tentato di conciliare la passione per le gare, le auto da corsa dei circuiti di Los Angeles frequentati da ragazzo, con una vocazione artistica che lo condusse a diplomarsi nel ’40 all’Accademia di Belle Arti di Roma. E, tempo dopo, a riattraversare l’Atlantico. L’esposizione, a cura di Luigi Sansone, presenta alcuni lavori che furono protagonisti delle due mostre più decisive della carriera artistica di Scarpitta. Quella del ’58 alla Galleria La Tartaruga di Plinio De Martiis e quella del ’59 alla Leo Castelli Gallery di New York.
Dopo un esordio, nei primi anni Cinquanta, con un ciclo di opere stratificate tra sabbia, gesso, terre e pigmenti, Scarpitta comincia a strappare le tele e a ricomporle sul telaio secondo vari tipi di intreccio. «Quando la pittura a olio mi colava dalle dita sentivo che la tela stessa doveva in qualche modo aprirsi, perché io potessi arrivare a una forma di realtà», si legge tra gli scritti dell’artista. È così che nascono lavori come Ammiraglio e Tensione, esposti oggi a Palazzo Albertoni Spinola. Vi si coglie un’esigenza di lacerazione legata al compimento ultimo dell’opera, laddove in Fontana il taglio si allacciava al gesto, all’azione.
Dall’aggiunta di strutture metalliche costruite con cerchioni di bicicletta celati sotto la tela si generano invece i primi quadri estroflessi. Sono gli anni nei quali Agostino Bonalumi opera nella medesima direzione della sinuosità e della curvatura della tela.
Scarpitta dà luce a estroflessioni quali Dimensione, una vasta superficie lievitante color latte, forse la migliore tra i pezzi esposti e To Cy, dedicato a quel Cy Twombly che insieme a Scarpitta, Rothko e Kline, nel ’59, espose in una collettiva alla stessa Galleria La Tartaruga.
La personale scarpittiana del ’58, a ogni modo, fu accolta con il plauso di Leonardo Sinisgalli, Gillo Dorfles, Emilio Villa, Cesare Vivaldi, Giulio Turcato, Mario Mafai, Piero Dorazio, Albero Moravia e di un giovane Piero Manzoni. Fu proprio allora che Scarpitta viene notato da Leo Castelli, il quale lo invita a esporre presso la sua galleria di New York. In omaggio a Plinio De Martiis, l’artista realizza in quello stesso anno Toga, uno dgli ultimi quadri a fascia, che si può ammirare alla Galleria Mattia De Luca, al fianco di To Franz, una fasciatura in b/n dedicata all’amico Franz Kline, tra i più noti esponenti dell’action painting americana.
«Sono ritornato in America portando i quadri, però frutto di un lavoro italiano […]. Erano le prime tele a rilievo che vedevano qui», racconta Scarpitta. Dopo aver esposto, nel ’59, i lavori fasciati alla Galleria di Leo Castelli, decide di fondere la passione per le auto da corsa con la propria ispirazione artistica. Comincia così a costruirne personalmente, studiandone dimensioni e potenza, fino alla creazione della Sal’s Red Hauler Special che irrompe alla mostra di Palazzo Spinola inducendo a ragionare sulla commistione tra arte, velocità e vita. Si tratta di una vettura di piccole dimensioni che Scarpitta dedica a Jean Christophe Castelli. «Ho rifatto la macchina nana e l’ho dedicata al figlio di Leo, è lunga sessantacinque pollici, di questa macchina esistevano solo il telaio e le ruote», scrive l’artista. Le sue auto furono esposte in due mostre di Castelli, nel ’65 e nel ’69.
Agli anni ’70 risalgono poi le slitte, due delle quali si trovano all’inizio del percorso espositivo. Scarpitta le realizza a Broadway con materiali raccolti per la città, telai conservati in studio tenuti insieme da fasce imbevute di resine e dipinte. La costruzione di strutture da traino era un modo per ricordare i nativi americani.
Insomma si trattò di un’artista girovago, ancipite, non si amalgamò tra i noti storicizzati, poiché ebbe una storia transatlantica imbevuta di suggestioni diverse, di culture differenti condensate tutte nel modo di trattare la cruda e viva materia della tela. Sventagliata, inamidata, resa spugnosa, discontinua, denudata. «Ho sempre cercato di immedesimarmi a fondo con il materiale, nel suo modo di presentarsi e di essere […] la mia storia non è estetica, è ricerca di contenuti».
La mostra di Salvatore Scarpitta alla Galleria Mattia De Luca, presso Palazzo Albertoni Spinola, a Roma, sarà visitabile fino al 21 giugno 2024.
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