«Oh Russians…obsessed with gold! »
Poche parole, rapide e taglienti, mentre la folla viene investita da coriandoli dorati, sparati da un cannone nascosto sull’abside della Chiesa di San Giuseppe delle Scalze. La mente corre alla cascata di monete di Vadim Zakharov (Danaë, 2013) ma senza ombrelli, inginocchiatoi e lezioni morali. Siamo all’overture della personale di Evgeny Antufiev – a cura di Marina Dacci e organizzata dalla z2o Sara Zanin Gallery e da Collezione Agovino – e veniamo accolti da un’esplosione luccicante di brio, tra il boato della macchina e un tenue canto lirico di sottofondo. Ma il tutto dura poco. Salire lo scalone che taglia il grande atrio della chiesa napoletana già aveva avuto qualcosa di ascensionale. Come una camera di compensazione tra il Sole ancora estivo e la luce grave, filtrata dalle grandi arcate e dalle statue di San Giuseppe, Santa Teresa e San Pietro.
Dopo il coup de théâtre, la polvere d’oro si poggia sul pavimento e lentamente la chiesa riprende la sua dimensione spoglia e silente. L’oro tornerà dopo, sotto forma di scenografia murale. Ma anziché di polveri naturali miscelate al giallo d’uovo delle iconostasi ortodosse, ci sarà una tendina a frange dorate, a «indicare a Dio dove guardare».
Nessuno poi ha più risposto a quelle parole. Ché Antufiev non è russo ma siberiano, di Tuva, città immersa nella taiga centroasiatica e patria del Karan Chuduge, la religione nera che parla a spiriti e animali selvatici. Se per Antufiev ogni artista è come un «insetto, farfalla o ragno, legato al proprio habitat», risulta evidente il suo sforzo di dialogare con l’edificio monumentale dello scultore e architetto Cosimo Fanzago. Dopo diversi progetti espositivi dominati dal candore del bianco e delle stoffe, in spazi asettici o tassonomici, l’artista siberiano si è trovato di fronte un edificio che, pur in rovina, continua a promanare una spiritualità sensuale.
Non ha dovuto caricare simbolicamente i corpi intagliati nel legno, gli uccelli di terracotta, gli arazzi Mecha, i piccoli demoni dentati. Le Scalze sono già un ricovero naturale per queste creature immaginifiche che, ad alcuni, ricordano antichi simulacri di cacciagione ma che, in realtà, sono forme energiche, abbozzate dalla memoria sociale dell’artista. Un gancio di metallo abbandonato accanto al serpente bicipite antropomorfo, un muretto rosa che delimita la “partita del destino”, frammenti di marmo e sfarda sparsi ovunque come le cianfrusaglie e le casse di legno che accolgono un’anfora votiva, nascosta dietro la tendina a frange dorate.
L’abbandono non deturpa ma rafforza la simbiosi tra spazi, tempi e materiali. Alle spalle dell’altare, nei locali della sagrestia, l’equilibrio estetico delle navate si perde e le forme sprigionate dalle mani di Antufiev prendono il sopravvento. Mosaici, vasi, statuette, perfino una barchetta funeraria. Come un wormhole, una porta per l’aldilà.
Per l’artista di Tuva, «l’eternità è la dimensione più interessante» e l’immagine – specchio e illusione, proiezione metafisica e feticcio – ne è sempre stata il primo veicolo. La materia ha solo carattere di scheggia, di scaglia, se non di errore. Eppure, Antufiev chiede al visitatore di diventare archeologo dei propri lavori, prega che il tempo levighi la patina, che sia spietato con i propri manufatti. Non è dunque solo un giocare con immaginari rupestri ma il tentativo di raggiungere una dimensione stadiale della materia e dei colori madre. Lo stesso processo che avviene, naturalmente, da secoli alle Scalze e in tutta la città. Quella stessa forza che modella schiacciando, forma annichilendo, vivifica uccidendo. Ed è per questo che, discendendo la scale di piperno e osservando le tre statue dell’atrio, immagino il nostro che si arrampica su quelle spalle di marmo. Sulle spalle dei giganti.
Domenico Sgambati
Mostra visitata il 21 settembre
Dal 21 settembre al 25 ottobre 2019
Evgeny Antufiev, Dead Nations: Golden Age Version
San Giuseppe delle Scalze
Salita Pontecorvo, 65, Napoli
Info: info@z2ogalleria.it
Orari: su appuntamento
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