“Damir Očko – Driant Zeneli. Exploratives” è il progetto espositivo ideato e curato da Giacomo Zaza che, fino al 10 dicembre, negli spazi dell’Ex Ospedale di San Rocco a Matera, «accosta due importanti esperienze artistiche contemporanee provenienti dall’area balcanica: Damir Očko e Driant Zeneli, che elaborano universi visivi ricchi di elementi poetici, storici, filosofici […]. Si tratta di un primo evento rivolto alle pratiche artistiche contemporanee nel complesso dell’Ex Ospedale di San Rocco, recentemente assegnato al Museo Nazionale di Matera. La mostra si costruisce su un continuo scambio tra reale e immaginario. Seguendo anche le posizioni teoriche del filosofo Edgar Morin, gli artisti insistono sulle capacità “esperienziale” dell’immagine nell’ambito della conoscenza, in quanto rinvii costantemente a una realtà da conoscere, o meglio da esplorare», hanno spiegato gli organizzatori.
Ne abbiamo parlato con Giacomo Zaza.
Come è nato il progetto espositivo “Damir Očko – Driant Zeneli. Exploratives”?
«La grande mostra su Damir Očko – Driant Zeneli, protagonisti di una sperimentazione visiva tra le più interessanti dell’area balcanica, nasce da un particolare dialogo con il Museo Nazionale di Matera, istituzione interessata ad aprire i suoi percorsi espositivi e le sue indagini altamente scientifiche alle pratiche contemporanee. La mostra è ospitata nei bellissimi spazi del complesso monumentale dell’Ex Ospedale di San Rocco, complesso che si appresta a essere per il Museo un laboratorio propulsivo delle arti visive (più che un mero “contenitore” di opere), però a stretto contatto con territori e scenari ricchi di affinità storiche e culturali. I due artisti creano un “teatro” che stimola il sensibile: ovvero uno spazio che mobilita riflessioni, visioni, percezioni e immaginari condivisi. Il progetto nell’ex Ospedale di San Rocco sposta i desideri dell’uomo, non li asseconda ma li mobilita, proprio perché il Museo vuol diventare una memoria attiva del contemporaneo».
Che relazione si crea tra la poetica di Očko e quella di Zeneli nel percorso espositivo?
«La congiunzione tra i due artisti è data innanzitutto dalla loro inclinazione a porsi come artisti esploratori di mondi e orizzonti tanto fisici quanto mentali. Per entrambi l’immagine (o se vogliamo l’immagine in movimento) è intesa come un veicolo di conoscenza, una conoscenza molteplice fatta di motivi, gesti, figure ed espressioni che contrastano con qualsiasi omologazione linguistica o comunicativa (tipica dei nostri scenari narrativi). Očko e Zeneli rigenerano appieno i processi del pensiero. Tanto la lunga serie di collages e il video DICTA I, quanto le foto e le video-installazioni di Driant Zeneli, sono l’esperienza di nuove esplorazioni. Sia in Očko che in Zeneli l’essere umano non soltanto è il soggetto — punto di osservazione — ma anche l’oggetto da osservare. Il testo poetico di Očko (nella sua lunga sequenza dei collages e nel video DICTA I) dichiara un senso di libertà poetica, borderline tra significato e significante, ma anche i personaggi e le situazioni nei video di Zeneli perlustrano lo straniamento e lo sconfinamento continuo.
Con Očko a Zeneli si fa esperienza della frammentazione poetica e della verità oltre le congetture. Il non senso o stravolgimento testuale di Očko e le vicende inattese di Zeneli sembrano farci entrare in contatto con ciò che Edouard Glissant chiamava “il diritto all’opacità”, alla divergenza e allo scambio con dimensioni della diversità».
Quali sono gli elementi della ricerca di Očko che emergono, in particolare da questo progetto espositivo?
«Innanzitutto la pluralità della sua pratica che ingloba suono, immagine video, scrittura poetica, collage, strutture tridimensionali che stimolano lo spazio (qui l’ampia chiesa del Cristo Flagellato).
E in particolare il modo randomizzato dei suoi interventi che tuttavia esplicitano una forma spaziale e discorsiva, in quanto apparati visivo sensoriali intrecciati – dalla voce diffusa al movimento video e alla carrellata dei collages (definiti come materiale preparatorio). L’architettura dell’Ex Convento di San Rocco sembra fungere in parte da storyboard, ma anche da contesto per dirigere l’intensità della voce quale sostanza acustica che ci smuove in continuazione.
Qui emerge chiaramente una comunicazione dispotica come metafora di libertà. Pensiamo al volto del performer (in DICTA I) sulle cui palpebre chiuse vediamo disegnati dei grandi occhi spalancati con cui l’artista ci riporta a uno sguardo cieco rivolto verso dentro. Očko ribadisce la perlustrazione dell’oscuro nell’essere umano (con le sue sentenze dal significato inafferrabile) e degli spiriti animali (probabilmente il serpente dai numerosi rimandi)».
E quelli delle ricerca di Zeneli?
«I racconti video in Zeneli ci mostrano la capacità dello sguardo fantasioso che vagheggia nel futuro. Ci mettono di fronte a un obiettivo non pienamente concretizzato, la cui storia, il cui racconto costituiscono il preambolo di una nuova vicenda (come il personaggio Mario, nel video It would not be possible to leave planet earth unless gravity esiste, desideroso di raggiungere un luogo lontano nello spazio, mentre vaga nell’enorme fabbrica abbandonata Kombinati Metalurgjik).
Le immagini dei suoi video ci inducono a riflettere sui gesti che sospendono ogni giudizio e riconducono (metaforicamente) ogni pensiero alla sua purezza. Così nel video Those who tried to put the rainbow back in the sky il lembo di arcobaleno in cemento riposto in alto sul fondo del cielo diventa un’immagine positiva di attraversamento. Oppure nelle sequenze disorientanti di Who was the last to have seen the horizon?, i protagonisti fluttuano nel buio rimettendosi continuamente in gioco con un senso di scoperta e di avventura».
Che cosa rappresentano le ricerche di Očko e Zeneli nella scena dell’arte contemporanea nei loro paesi d’origine, rispettivamente Croazia e Albania?
«Sono esperienze di produzione dell’identità e di rappresentazione del mondo ai bordi delle pratiche discorsive acquisite. La ricerca di Damir Očko si pone come un’esperienza artistica di ampliamento della “complessità” – e non di “riduzione” – mediante il testo, la poesia, la musica, la performance (filmata) – dentro la vasta costellazione croata di esperienze visive contemporanee (da Goran Petercol, Ivan Faktor, Dalibor Martinis e Vlasta Žanić, a Simon Bogojević-Narath, Sanja Iveković).
Mentre Driant Zeneli conduce un singolare dispiegamento di spazi poetici variabili, silenziosi e lenti, dove si avvicendano destini, sogni, viaggi e desideri – tra tremore ed empatia – che diventano altri approdi rispetto alle ricerche di Adrian Paci e Anri Sala».
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