Accogliendo la formula che Charles Simic adoperò per riferirsi a quel mago assoluto dell’illusione artistica che fu Joseph Cornell, Fabio Bix è, potremmo dire, un “cacciatore di immagini”. Un cacciatore di immagini che, dopo esserlo stato di parole e di testi teatrali, ha esposto i suoi primi frutti iconografici al Macro di Roma nel 2019 e ora fa ingresso a Gallerja, spazio espositivo romano, in via della Lupa.
Il nuovo progetto bixiano si compone di una sequenza di fotografie dall’anima binaria. La messa a fuoco consta sempre di due parti: lo scenario riconoscibile di una grande città e, davanti, una scultura di carta. Come se l’interesse per il teatro, con i suoi piani, non si fosse fino in fondo dissolto. Lasciato echeggiare ancora nella fotografia.
«Io diventerò il più grande scultore della storia: sembra la frase di un folle o di un megalomane, ma è la verità», afferma l’artista in un guizzo di ironico compiacimento. «Quando sarò stato in dieci o venti luoghi significativi diffusi nel mondo e lì, al cospetto di chiese e monumenti, avrò piazzato dieci o venti sculture, non ci sarà un altro scultore pari a me – aggiunge – e di fatto sarò il più grande scultore della storia, senza che al mondo esista una mia scultura».
Prima che la tempra del fotografo o dell’illusionista, dell’allievo di certo surrealismo o del contemplatore dei silenzi metafisici, può riconoscersi in Bix, proseguendo l’accostamento cornelliano, la qualità del displayer. E la caducità del gioco asseconda l’avanzare dei tempi. Ché Cornell generava mondi con materiali fittizi, diamanti di plastica, pupazzi, moltitudini di gadget accumulati nella sua casa-deposito in via dell’Utopia (NY). Bix, di quei mondi in bilico, propone tranche de vie ancor più effimere, che durano la vita di un fazzoletto di carta. O meglio, il tempo di uno scatto. Resta l’attitudine alla disposizione dell’oggetto nello spazio. «Un fatto che mi sfida moltissimo in questo progetto è la speranza di riuscire a suscitare meraviglia con il nulla», rivela l’artista.
Ma, allora, qual è il giuoco? Perché un giuoco c’è e l’occhio lo percepisce, vuole parteciparvi e in realtà già vi partecipa dal primo istante della fruizione. Il giuoco è quello della prospettiva, della finzione, dello spettacolo di strada, del numero di prestigio. Per cui da un candido e sottile rettangolo cartaceo, di volta in volta affastellato e torto, sembra scaturire l’imponenza drammatica di una statua barocca di cui salvare una testimonianza.
Girovago attento tra Gerusalemme, Parigi, New York, Roma, Bilbao ed anche Brescia, la megalopoli delle sue radici, Bix si apposta – silente cacciatore – attirando la curiosità dei passanti, come i video di accompagnamento del percorso manifestano. Su un piccolo piedistallo l’artista costruisce il suo idolo di carta, elemento fantomatico che muta continuamente nell’identità, nel panneggio, nella posa, nel contesto.
“Omnia alia sunt”, tutto è qualcos’altro. È il motto scelto per questa operazione fotografica, nata da un progetto di cinque anni fa. «Allora fotografavo i marciapiedi con le sue cartacce, in cerca di figure. In particolare un giorno ne misi a fuoco una che chiamai Pietas per via delle sue sembianze. Da lì è nato tutto. L’aspetto che assume il singolo fazzoletto non è da me determinabile. Sono io il primo a sorprendermi del miracolo della forma: il caso ha un ruolo importante nel risultato» racconta Bix che, figlio dei pittori di trompe-l’oeil ed erede di quel Parrasio che con un trucco arguto ingannò Zeusi, sembra memore di ciò che scrisse in un racconto incompiuto Mallarmé: «L’infinito esce dal caso, che avete negato». E sceglie di porre sull’altare dell’arte le mutevoli fattezze di una scultura imponente ergo le pieghe infinite di un fazzoletto di carta.
La mostra di Fabio Bix da Gallerja, a Roma, con testi di Mariaimma Gozzi e Ofelia Sisca, sarà visitabile fino al 25 febbraio 2023.
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