A poche settimane dall’apertura della mostra a Brescia Plessi sposa Brixia a cura di Ilaria Bignotti, l’instancabile Fabrizio Plessi, lunedì 26 giugno ha inaugurato la suggestiva installazione site-specific MARIVERTICALI nella sala delle Cariatidi di Palazzo Reale a Milano. La mostra curata da Bruno Corà, Alberto Fiz e Marco Tonelli, con il progetto espositivo di Lissoni & Partners, è una imponente video installazione composta da una flotta di dodici imbarcazioni in acciaio alte 9 metri inclinate pericolosamente al limite della caduta, all’interno delle quali scorrono rumorosamente delle cascate dorate. Con questa opera Fabrizio Plessi (Reggio Emilia, 1940) mette in scena, ancora una volta, la complessità del mondo contemporaneo e lancia un forte messaggio: gli oceani sono la ricchezza del futuro. Abbiamo avuto la possibilità di intervistare l’artista per farci raccontare il progetto e più in generale la sua poetica.
Ci può raccontare il progetto della mostra appena inaugurata a Palazzo reale?
Il titolo della mostra è MARIVERTICALI e si riferisce a una video installazione che ho realizzato ormai 13 anni fa per Louis Vuitton presso l’Arsenale della Maddalena in Sardegna, in occasione del Louis Vuitton Trophy, prestigioso trofeo velico della Maison. Per questo lavoro avevo filmato tutti gli oceani del mondo e inserito queste registrazioni in gigantesche imbarcazioni in acciaio che, invece di galleggiare nell’acqua, racchiudono al loro interno il flusso delle acque. In occasione della mostra a Palazzo Reale, per la prima volta, questa flotta di 12 barche non riproduce le acque degli oceani, ma delle cascate d’oro, perché credo che il nostro futuro dipenda dall’acqua e gli oceani saranno la nostra ricchezza. L’installazione acquisisce così una dimensione sociale e politica: è un monito rivolto al mondo intero. Si tratta di un percorso immersivo, il pubblico si addentra dentro questa foresta di barche, che diventa un paesaggio allo stesso tempo tecnologico, surreale e assolutamente contemporaneo.
Che cosa rappresenta per lei la sala delle Cariatidi?
Sono sempre stato affascinato da questo spazio così pieno di storia, è sempre stato un sogno poterci esporre le mie opere. Inoltre, questa mostra cade proprio a ottant’anni esatti dal violento bombardamento che sfregiò la Sala delle Cariatidi, che è stata teatro di esposizioni di grandissimi artisti.
Ad esempio?
Nel 1953 Pablo Picasso vi espose la sua Guernica: per me questo rappresenta un presupposto straordinario.
Da lungo tempo lavora con il digitale e le tecnologie. Come definirebbe il suo rapporto con la tecnologia?
Sono stato uno dei primi artisti a usare la tecnologia nei miei progetti. Ho sempre cercato di amalgamare il digitale, che all’epoca si chiamava “elettronico”, con l’arte più tradizionale. Come un alchimista ho fatto convivere due linguaggi quasi inconciliabili. In questo senso sono stato uno sperimentatore e anticipatore delle tecnologie: ricordo quando nel 1993 realizzai la scenografia per il concerto di Luciano Pavarotti al Central Park di New York, utilizzai la tecnologia LED, all’epoca ancora nessuno sapeva cosa fosse.
Come dovremmo “tutelarci” oggi che il video è diventato una forma onnipresente?
Nei miei lavori ho sempre cercato di stare davanti alla tecnologia senza mai rincorrerla, il rischio è quello di rimanerne schiavi, perché alla fine la tecnologia vince sempre. Credo sia importante oggi dominare la tecnologia, altrimenti inevitabilmente dominerà noi.
Come?
L’unico modo che abbiamo per controllarla è quello di umanizzarla, di calarla e plasmarla secondo la nostra coscienza storica. Solo così avremo la possibilità di progettare il futuro. Per questa ragione, ho insegnato per circa dieci anni “Umanizzazione delle tecnologie” presso l’università di Colonia.
Per questo i suoi lavori mettono sempre in dialogo il passato e il futuro? Questo processo lo vediamo anche nella mostra, appena inaugurata, “Plessi sposa Brixia” a Brescia?
Sì, esatto, mi interessano sempre questi strani innesti tra antico e contemporaneo. Sono sempre stato curioso, cerco le cose che non conosco, mi interessa porre delle domande al mondo e tentare di trasformarle in opere d’arte. È il mio lavoro quotidiano, ormai, per me è come respirare.
Quali sono le prossime mostre in programma?
Per scaramanzia non annuncio nessun progetto, ma ci saranno altre mostre.
Qual è il progetto a cui è più affezionato?
Naturalmente, l’esposizione al Guggenheim di New York nel 1998, dove tutto il mio lavoro si è mostrato in maniera straordinaria al mondo intero, per cui per me è stata l’esperienza più importante. Poi ci sono state altre mostre, come quella al Gropius Bau di Berlino e al Centre Pompidou di Parigi: ho realizzato più di 500 mostre in circa 130 musei.
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