Presso la galleria Peola Simondi di Torino, fino al prossimo 23 dicembre sarà possibile visitare una personale di Fatma Bucak, curata da Maria Teresa Roberto. La mostra trae il suo titolo dal linguaggio musicale, sottolineando così in modo efficace il rapporto con il tempo inteso nei vari sensi, filosofici, storici e psicologici. “In prestissimo. Tra estremamente lento e più veloce di presto” si compone di una serie di opere che spaziano dal video, all’installazione, fino a piccole sculture in bronzo e altri materiali.
Il riferimento al tempo è presente in ciascuna opera in mostra e si esprime secondo una similitudine: se è possibile osservare la velocità in cui il clima muta sotto i nostri occhi, al tempo stesso la situazione di interi popoli è messa a durissima prova da situazioni geopolitiche estremamente gravi. E così come alcune specie di uccelli in estinzione sono riprodotte in bronzo, secondo un’iconografia che riecheggia l’antica tradizione assira o sumera, come a segnarne l’esistenza nella memoria di un passato ormai lontano, il rimando è certo alle specie animali, ma anche allo scenario devastante della guerra, che per esempio in Siria ha devastato l’esistenza di interi popoli e culture.
A inizio mostra, poi, il video Man is dead mostra un’immagine che a prima vista appare fissa, se non fosse per qualche refolo di vento che scuote irregolarmente le fronde delle piante di un paesaggio arido e spento, dove troneggia una sorta di monumento funebre composto da una colonna, con sopra un pesce e una pietra. Anche qui la visione d’insieme ha una portata simbolica molto forte. Un’altra installazione si compone di piccoli oggetti simili a pietre o frutta, realizzate con stoffe pressate e colorate. Il riferimento è ancora una volta insieme alla guerra e ai temi ecologici che riguardano i mutamenti climatici.
Ma la parte più intensa è interessante della mostra è rappresentata dai due video che sono esposti nell’ultima sala della galleria. Il titolo dei due lavori, tra loro dialetticamente in dialogo, è They burned it all evocando gli incendi che distruggono il paesaggio sulle rive del Mediterraneo, ma anche più in generale la guerra, interiore o esteriore che sia. Un video proiettato su uno schermo più piccolo mostra la stessa artista nell’atto di camminare carponi, come alla ricerca di suoni o tracce di altro tipo sul terreno, in un contesto naturalistico desolato, che fu arso dal fuoco. Un video di più grandi dimensioni è invece ambientato nel teatro di Istanbul e mostra cinque coppie di cantanti che paiono accingersi a intonare un canto, senza tuttavia emettere alcun suono. Questo genera un senso di attesa non colmata, una alienazione e tensione che spinge a riflettere. Solo un mormorio è appena udibile, e ripete ossessivamente in lingua curda appunto le parole “hanno bruciato tutto”.
Come sempre, anche in questa occasione, il lavoro di Fatma Bucak si conferma per le sue doti di profondità e intensità poetica. Mentre racconta di situazioni politicamente e socialmente complesse, magari in scenari di guerra particolarmente drammatici, come quelli che hanno riguardato in tempi recenti il popolo curdo e la Siria, l’artista si occupa nel contempo di argomenti relativi ai mutamenti climatici che attualmente assillano il nostro pianeta. Tutto questo, però, viene reso nelle opere in modo emozionalmente vivo, sottolineando tanto gli aspetti personali, persino intimi e psicologici dei temi esposti, quanto quelli rilevanti e condivisibili per la collettività, la società e la storia. La lettura delle opere è quindi possibile sempre su livelli molteplici, che comprendono la riflessione su temi urgenti, ma anche l’identificazione in vissuti esistenzialmente drammatici e personali.
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