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Flora: i fiori nella grande arte del Novecento, alla Fondazione Magnani-Rocca
Mostre
«L’arte è lo sforzo incessante di competere con la bellezza dei fiori senza riuscirci mai», ha affermato Marc Chagall. E sono tanti gli artisti esposti nella mostra FLORA. L’incanto dei fiori nell’arte italiana dal Novecento ad oggi alla Fondazione Magnani-Rocca, che rimarrà aperta al pubblico fino al 29 giugno nella splendida Villa dei Capolavori di Mamiano di Traversetolo, a Parma, il cui parco è appena stato restaurato. Così, le opere esposte dialogano con gli spazi esterni, in omaggio alla passione del fondatore Luigi Magnani per il paesaggio naturale come bene culturale. Raffinato intellettuale e ambientalista ante litteram, ben prima degli attuali dibattiti sulla sostenibilità per le future generazioni, nel 1955 Magnani fondò Italia Nostra, associazione per la tutela del patrimonio storico, artistico e naturale.

Il percorso espositivo – a cura di Daniela Ferrari e Stefano Roffi – compone i quadri come veri e propri bouquet, associandoli sulle pareti per assonanza o per contrasto. Si articola lungo tutto l’arco delle possibili interpretazioni dei fiori, ora colti nel segreto dei giardini degli artisti che li hanno dipinti, oppure di volta in volta simbolici, futuristi, recisi, silenziosi, inquieti e contemporanei. Non solo. Completano l’esposizione una serie di ritratti – le Regine di Fiori – e una sezione che celebra la sempiterna bellezza della rosa, a sua volta considerata la regina dei fiori.
L’esordio è affidato a due opere, che sembrano ispirare il nome stesso della mostra. La prima, vibrante, esuberante, onirica, è la Flora Magica di Fortunato Depero. L’autore stesso ha definito questa scenografia stilizzata e tridimensionale di un selvaggio giardino tropicale come «Una festa orgiastica di colori e forme». Depero l’aveva immaginata per un balletto, ispirato alla fiaba di Hans Christian Andersen L’usignolo dell’imperatore, per rappresentare il contrasto fra il naturale e l’artificiale. Lo spettacolo non andò mai in scena ma la creazione è esemplificatrice dell’estetica visionaria e avanguardista di questo geniale dispensatore futurista di meraviglia, che con la sua estetica innovativa ha rotto gli schemi e messo in comunicazione varie discipline, dalla pittura alla scultura, dall’architettura al design, dal teatro fino alla grafica pubblicitaria.
La seconda opera che apre idealmente la mostra è lo studio di Giulio Paolini per l’opera Nel mezzo del dipinto Flora sparge i fiori (1968), in un gioco di mise en abyme che cita L’Empire de Flore (1631 circa) di Nicolas Poussin. La dea è duplicata in un gioco di sovrapposizioni e sembra spargere la propria raffigurazione, evocando un ciclo di rinascita continua.

Alla sezione Nel segreto dei giardini – con le Ortensie di Giovanni Segantini – e a quella dei fiori simbolici – con la prorompente bellezza del Giardino Fiorito di Luigi Bonazza, che spicca anche sulla locandina grazie alla collaborazione con il MART Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto – seguono i fiori futuristi, con opere, fra gli altri, di Giacomo Balla e Fortunato Depero.

Proprio Balla e Depero elaborarono nel 1915 il manifesto Ricostruzione futurista dell’universo, al fine di dare «Scheletro e carne all’invisibile, all’impalpabile, all’imponderabile, all’impercettibile», per ridefinire le forme del mondo esterno e ricombinarle in complessi plastici da mettere in moto. A tale ambizioso progetto di ricreare la realtà appartengono i fiori di Balla, dalle forme ora sinuose ora aguzze, volte alla rievocazione sintetica della natura.
Fra le Regine di fiori, degne di nota in particolare le opere di Giovanni Boldini, Mario Broglio, Lucio Fontana, Renato Guttuso, Piero Marussig e ancora Luigi Bonazza, con il puntinismo del suo Ritratto di Gigina, in cui i colori vivaci, armoniosamente accostati sulla tela, acquistano una sorprendente plasticità nell’intensa raffigurazione della protagonista.

Nella sezione Una rosa è una rosa è una rosa, che riecheggia un’espressione di Gertrude Stein, il fiore più amato dai poeti è celebrato, fra gli altri, da Carlo Carrà, Ubaldo Oppi, Fausto Pirandello, Arturo Tosi e Giorgio Morandi, con le sue rarefatte tinte poudrées, in cui il tono su tono sembra trasfigurare in una meditazione sul trascorrere del tempo e sulla luce.


Ci sono poi i fiori recisi, come quelli di Felice Casorati (peraltro, attualmente in mostra al Palazzo Reale di Milano), o quelli denominati “silenziosi”, fra cui quelli di Antonio Donghi, esponente del Realismo Magico, ma anche quelli definiti “inquieti”, come Il gladiolo fulminato di Filippo de Pisis, un’esplosione cromatica a cui è sottesa una riflessione sulla caducità della vita.

Si aggiunge infine la “flora contemporanea” – come il Giardino pensile di Fausto Melotti – che reinterpreta la vegetazione floreale secondo codici espressivi più attuali, a volte perfino per veicolare temi socioculturali, come nel caso del Fiore Nero (1971) di Mirella Bentivoglio, un collage in cui la silhouette stilizzata della corolla svela, a una decodifica più attenta, i ritagli di un articolo di giornale relativo al funerale di un giovane afro-americano ucciso da un poliziotto.

L’esposizione italiana ha luogo pressoché in concomitanza con un’altra mostra dedicata al fascino esercitato dai fiori: un’anticipazione del Chelsea Flower Show di Londra presso la Saatchi Gallery, di cui quest’anno ricorre il quarantesimo anniversario: Flowers – Flora in Contemporary Art & Culture (12 febbraio – 5 maggio 2025). In fondo, come scrisse Malcom Chaza, «Non c’è forma d’arte che il fiore non ci insegni».