-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
L’altro spessore del libro: otto artisti al MACRO e alla Hertziana
Mostre
Se avete mai osservato un libro da tutti i lati è molto probabile che non vi siate mai soffermati sul lato opposto al dorso, che presenta le pagine impilate una sull’altra, a comporre un candido spessore, senza nessun appeal visivo. Eppure nel secoli bui del Medioevo, quando il libro manoscritto era l’unico strumento di conoscenza, anche quella parte veniva decorata con immagini araldiche o floreali. Quella forma di decorazione nasce in Inghilterra, viene chiamata Fore-edge painting e si sviluppa come una vera forma d’arte nel XVIII secolo, grazie a John Brindley, editore e rilegatore del Principe di Galles. Con la moda lanciata da Brindley le immagini dipinte sul bordo dei libri si arricchiscono di soggetti nuovi, da paesaggi a temi biblici fino a immagini erotiche: un vero e proprio boom che dura più di due secoli, prima di scomparire lentamente nel corso del Novecento. Oggi esistono pochissimi fore edge painters professionali come Martin Frost: «Per creare un’immagine ci vuole tempo-spiega – perché dipende dallo spessore del libro: se è piccolo, può bastare qualche ora. Se è un libro di grandezza normale, anche due giorni. Se è una Bibbia, quindi un volume molto grande, anche una settimana». A riportare sotto la luce dei riflettori questa tecnica raffinata è stato Luca Lo Pinto, curatore della mostra “Fore-edge Painting”, aperta fino al 23 gennaio 2022 in due sedi, il Macro e la Biblioteca Hertziana. Inserita nella programmazione della sezione “Studio Bibliografico” del museo di via Reggio Emilia, la mostra riunisce le opere di otto artisti internazionali invitati dal curatore (Tauba Auerbach, Kerstin Brätsch, Cansu Çakar, Enzo Cucchi, Camille Henrot, Victor Man, Andrea Salvino e Andro Wekua) che hanno scelto i libri sui quali intervenire, presentati con un allestimento rigoroso ed efficace.
Ogni libro è imprigionato in una morsa d’acciaio, sospesa a mezz’aria nella sala del Macro e appoggiata sul tavolo centrale nella sala del Disegno di palazzo Zuccari, con una affrescata con immagini allegoriche in stile manierista dal suo proprietario, il pittore Federico Zuccari, e oggi sede dell’Hertziana, la biblioteca di storia dell’arte fondata nel 1913 grazie a un lascito della mecenate tedesca Henrietta Hertz (1846-1913). In questo stimolante confronto tra l’asettico spazio museale e l’ambiente cinquecentesco le opere trovano contesti e significati diversi, che rendono la mostra non solo un positivo esempio di collaborazione tra istituzioni ma anche un dispositivo di lettura del libro come oggetto d’arte in sé.
Ogni artista ha scelto di adattare il proprio immaginario a questa particolare commissione: se Tauba Auerbach ha utilizzato la tecnica del lettering in un rigoroso bianco e nero, Kerstin Brätsch ha elaborato un immaginario astratto per due volumi illustrati, il Libro rosso di Jung e la Divina Commedia di William Blake, mentre Camille Henrot si è orientata sui volumi del Dizionario Enciclopedico Treccani, dove ha dipinto figurine giocose e grottesche.
Una riflessione sui rischi del fanatismo, sia nel passato che nel presente, ha spinto Cansu Çakar ad intervenire su un testo di scienze occulte, mentre Victor Man ha optato per una dimensione romantica da Grand Tour, con vedute dei luoghi di Roma che preferisce, come il Gianicolo e l’Appia Antica e Andrea Salvino ha scelto due libri trovati, dove ha dipinto frammenti tratti dalla storia del cinema.
Interessanti ma poco rispondenti all’invito appaiono i monocromi di Andro Wekua e le immaginifiche ceramiche di Enzo Cucchi. In conclusione la mostra ha il merito di aver resuscitato una tecnica perduta, collegando un museo e una biblioteca storica attraverso la linea rossa dell’arte per comporre due paesaggi assai fecondi nella loro misteriosa e anacronistica ambiguità.