La fragilità dell’arte umana e la forza inarrestabile della natura. I poli tra cui si inserisce Storms, l’ultimo lavoro di Quayola, presentato nella galleria Marignana Arte a Venezia, città per eccellenza nata sul limen che collega uomo e natura.
Quayola, nato a Roma nel 1982 ha un elemento che caratterizza tutti i suoi lavori, uno sguardo digitale sul passato. Un dialogo tra opposti che si rispecchia nelle due principali città in cui ha vissuto, Roma da un lato, Londra dall’altro.
Poli opposti che lasciano liberi degli interstizi in cui si si insinuano le sue opere, assottigliando il limite tra natura e cultura, anche grazie all’utilizzo del mezzo digitale con piena consapevolezza.
La new technology viene usata non come scorciatoia per la realizzazione dell’opera ma come generatrice di uno sguardo nuovo.
I paesaggi osservati sono gli stessi di Constable e Turner, le coste della Cornovaglia, ripresi dal vivo e rielaborati. Il risultato è un ‘environnement’, per citare le teorie sull’ Alta e bassa definizione teorizzate da Marshall McLuhan in Understanding media nel 1964, rendendo queste opere molto più che delle finestre aperte sulle pareti della galleria, con un livello di coinvolgimento che coglie tutti i sensi, vicino all’approccio meditativo.
Storms è una prosecuzione della tua ricerca iniziata da tempo sulla pittura di paesaggio tradizionale, come nasce questa idea?
«La mia ricerca parte proprio dalla tradizione storica, mi piace pensare a queste serie di lavori come se fossero una pratica storica, una sorta di continuazione. Per questo motivo torno in alcuni luoghi e mi metto in condizioni simili a quelle di artisti del passato per ricrearne la poetica in qualche modo. Ad esempio, ho fatto diversi lavori en plein air in Provenza nell’area in cui ha vissuto Van Gogh nell’ultimo periodo della sua vita, altri in vari giardini in Francia ispirati ai lavori di Monet.
In questo caso è tutta una serie ispirata alla tradizione romantica del sublime, del confronto con queste condizioni un po’ estreme delle tempeste inglesi alla Turner.
Alla fine, non è mai un qualcosa di completamente letterale in cui torno nell’esatto punto in cui sono stati altri artisti, quello mi interessa meno, cerco di sviluppare però la stessa ricerca poetica. Questo lavoro è stato girato in Cornovaglia durante una tempesta e durante il lockdown, è stato quindi un processo abbastanza complesso».
Come si collega la città di Venezia, contesto in cui sono esposti i tuoi lavori, con le tue pitture digitali? Gli conferiscono una lettura aggiuntiva?
«Sì, ho scelto questi lavori nel contesto di questa mostra proprio per la relazione con l’acqua che si crea, la natura ha sempre fornito i pretesti per accelerare queste ricerche estetiche.
Un tema forte del lavoro, non solo di questo ma di tutta la mia ricerca, è l’osservazione della natura come veicolo per scoprire delle nuove estetiche, confrontarsi con delle condizioni in che possano suggerire nuove tecniche, nuovi studi, e Venezia sicuramente fornisce delle condizioni molto particolari di luce che hanno ispirato generazioni di artisti.
Anche se il lavoro non è relazionato con Venezia il fatto di farlo esporlo lì per me era importante, innestarsi in queste pratiche storiche e continuare queste ricerche, continuando un lavoro sull’acqua, come generatrice di possibilità e di infinite ispirazioni».
La pittura di tempesta è un tema che ha una storia lunga, non solo legata all’omonimo quadro di Giorgione, ci sono degli artisti che più di altri ti hanno ispirato?
«Sicuramente Turner continua ad essere un’ossessione per vari fattori, uno di essi è la relazione sottile tra rappresentazione ed astrazione. La pittura di paesaggio e l’osservazione della natura sono stati il veicolo con cui ci si è staccati dall’idea di rappresentazione, giungendo ad una visione più interiore che ha portato a tutte quelle che sono state le avanguardie, come Malevic o Kandinsky.
L’astrazione è l’apice di un percorso che nasce da Turner, è lui che per primo inizia a staccarsi da una pittura solo rappresentativa della realtà.
Nel mio lavoro si esplora proprio questa linea tra rappresentazioni più chiare a rappresentazioni molto eluse in cui si comincia ad allontanare dalla mimesi della realtà, arrivando ad un punto in cui lo spettatore non è in grado di discernere i soggetti che si trasformano in suggestioni.
Alla base dei miei lavori non c’è però uno studio varie tecniche pittoriche, anche perché la produzione di queste opere trascende completamente quella che è la tecnica pittorica, sono generate con strategie completamente diverse, è una strana casualità che queste immagini di pixel ricordino dei dipinti.
Avvicinandosi alle opere si scopre una gestualità che racconta tutto un altro processo, parlano dei processi non umani, della relazione con la macchina e con la tecnologia. Quello che si vede è la documentazione di un processo che a seconda della scala della stampa può essere letto più o meno chiaramente».
Partendo dalla genesi dei tuoi lavori, un elemento fondamentale è il corpo, andare fisicamente sul luogo, esplorarlo e solo infine riprenderlo. Quali sono i passaggi fondamentali nella realizzazione dei tuoi quadri?
«Al di là dei quadri, al di là della pittura di paesaggio c’è una sorta di iter che racchiude tutti i miei lavori, la scelta, l’osservazione e lo studio di un soggetto. Tramite i risultati di studi e analisi, avviene la creazione di un nuovo oggetto di contemplazione più o meno legato a quello di partenza.
Da una parte c’è una cattura dati fatta attraverso a delle camere da cinema, che tendono a registrare di più di quello che l’occhio umano percepisce. Dall’altra un sistema di analisi delle immagini e dei video, che permette di discernere delle palette cromatiche, le forze contenute nei movimenti che esistono nel video, non è un qualcosa legato alle onde o alla fluidodinamica del mare ma semplicemente legata ai pixel di questi video e dei sistemi di riconoscimento stesso degli oggetti.
Da questi video di partenza vengono generati dei dati che vengono utilizzati per controllare la simulazione di pittura digitale, ovvero un software che è stato costruito all’interno del mio studio e che è stato migliorato negli anni, per me è come uno strumento musicale che io calibro manualmente con centinaia di parametri. Quindi c’è anche una componente performativa nella creazione di queste opere, che sono il risultato di eventi registrati dal vivo nello studio, un processo creativo che non è così dissimile dal confrontarsi con una tela».
La tecnologia è parte integrante di ogni aspetto della nostra vita e lo è anche nel mondo dell’arte, quanto credi sarà importante nel futuro della nostra cultura visuale?
«L’aspetto tecnologico è sempre stato importante, continua ad essere importante, nel mio caso è una componente fondamentale non solo nella creazione ma anche nelle tematiche stesse che io esploro. Quasi tutti i tipi di scultura, ad esempio, vengono prodotte utilizzando la tecnologia, spesso sono soltanto dei processi un po’ nascosti, a me invece piace esaltarli, le opere finali sono delle documentazioni stesse di questi processi.ù
L’arte è uno specchio della nostra società contemporanea, la tecnologia negli ultimi anni ha cambiato le nostre vite in maniera radicale, per me sarebbe strana l’idea di non riflettere su queste dinamiche.
È un qualcosa di talmente invasivo e presente che è normale che artisti di nuova generazione si confrontino con questi mezzi come alla fine è successo nella musica in maniera abbastanza chiara o nel cinema».
Quali sono i tuoi prossimi progetti in programma?
«Ci sono varie ricerche al momento nello studio, alcune molto lente che che vanno avanti da molto tempo e alcune più veloci come mostre o installazioni.
Al momento stanno succedendo cose a diversi livelli, ho una serie di mostre in programma tra le quali una grande installazione di Storms a Roma che aprirò ad ottobre, un’installazione all’interno di chiesa a Modena, una mostra in una galleria a Berlino, una nuova installazione all’Art Basel a Miami, una nuova scultura che sta per essere installata in Arabia Saudita e una nuova serie di video che presenterò in Provenza.
Da una parte ci stiamo dedicando molto alla scultura e stiamo sviluppando nuovi progetti anche in collaborazione con una cava di marmo di Carrara, con la quale stiamo strutturando una collaborazione, poi c’è la ricerca sulla musica che sta andando avanti negli ultimi anni».
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