Sono gli ultimi giorni per visitare “Aedificante. Cantiere. Cultura. Persone. Futuro” di Giacomo Albo (Lecco, 1975). Curata da Angelo Dadda, e ideata dall’imprenditore edile Giuseppe Taramelli, la mostra segna il ritorno della fotografia d’autore alla Fondazione Stelline di Milano e celebra il saper fare delle maestranze di cantiere.
Rispecchiando la volontà di Taramelli di aprire una riflessione sul futuro delle costruzioni in Italia denunciando la scomparsa di una manodopera , un nucleo di 32 immagini in bianco e nero costituisce immortala la metamorfosi del paesaggio di cantiere, che è un insieme di strutture solide, spirito d’iniziativa e intelligenza applicata. «La mostra è solo un primo passo di una serie di iniziative immaginate per far cambiare il punto di vista sul cantiere e il valore del capitale umano impiegato», dichiara Taramelli. «È la denuncia di un’esigenza pratica di manodopera qualificata che si traduce e riverbera in un progetto culturale e di comunicazione sociale. Il cantiere è territorio e forma mentis, è luogo di realizzazione di progetti architettonici e di vita, di professionalità e di economie, di studio e orgogliosa partecipazione al sogno di realizzare qualcosa di importante e di unico».
Frutto di una selezione da un ricchissimo portfolio fotografico di sei anni di lavori in Italia e all’estero, la mostra si articola in otto capitoli in cui l’indagine si sofferma sui vari aspetti del paesaggio del cantiere: il rapporto col territorio e l’ambiente circostanti, l’attenzione ai materiali, la relazione tra gli spazi, l’elemento luce, gli interni in rifinitura, l’anatomia delle strutture, il quasi-finito. «La confezione dei materiali, approntati in loco, nasconde una perizia che comunica competenza e abilità. In questi scatti non vi è presenza umana, ma la sua testimonianza si riverbera nei manufatti che compongono il disegno dell’architettura», afferma l’architetto e fotografo Albo.
Scatto dopo scatto, l’intervento di cantiere, sia esso su edifici residenziali, didattici, artigianali, terziari o produttivi, diventa immagine poetica: l’insieme, apparentemente caotico in cui la provvisorietà e la confusione dominano la scena, si trasforma col lavoro delle maestranze, che guadagna i propri spazi, li scava, li assembla, li innalza, li edifica. Il dettaglio delle fondamenta e le vedute dall’alto, la danza delle gru e il ponteggio, il panorama sulla città e il rigurgito degli impianti, i cespugli di cavi, le giungle di carpenteria, i curiosi giochi di luce e i silenzi immobili, i pilastri di sostegno, le possenti armature, le putrelle e il laterizio, le tracce a parete e le bucature in facciata immortalano la gestazione di un progetto. «Aedificante, in apparenza, è una mostra fotografica che racconta come vengono costruiti gli edifici. Nella realtà è la ricerca della costruzione perduta all’epoca dei rendering. Aedificante non racconta solo la costruzioni degli edifici, ma anche di una coscienza, di un amore», – spiega Taramelli.
Ogni fotografia sembra votata a mettere in risalto che edificare significa fondare, costruire, realizzare, innalzare strutture, edifici, dimore, ma anche relazionarsi con l’ambiente, il paesaggio, il territorio circostanti. Emerge così, accanto all’importanza di una disposizione interiore della formazione, l’immagine del cantiere come luogo in cui le cose prendono forma, grazie allo scrupolo, alla dedizione e all’attenzione di chi vi lavora.
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