«Io costruisco il vuoto che le cose contengono perché mi sembra uno spazio importante da indagare». Franca Sonnino (Roma, 1932), fiber artist della generazione del secondo dopoguerra, sintetizza con queste parole – tratte da un dialogo con la collega Maria Lai – il focus dominante della sua ricerca: la dimensione del vuoto e le infinite proprietà spaziali del filo. Il MUACC – Museo universitario delle arti e delle culture contemporanee di Cagliari e la Galleria Gramma_Epsilon di Atene le dedicano la mostra antologica “Franca Sonnino. Il filo, il segno, lo spazio”, a cura di Simona Campus e Paolo Cortese.
La rassegna si divide in due esposizioni allestite in contemporanea a Cagliari e ad Atene: la prima ricostruisce in sintesi il percorso dell’artista a partire dagli esordi pittorici fino alle sculture tridimensionali realizzate in filo e fil di ferro, mentre lo spazio di Atene espone le composizioni geometriche degli ultimi anni, realizzate tra il 2019 e il 2022. L’obiettivo è quello di ripercorrere e celebrare la carriera di un’artista, ancora molto prolifica, che reinterpretando usi e significati della tradizione tessile si inserisce nei movimenti di rivendicazione femminile non militante che hanno contribuito a trasformare il sistema dell’arte.
Fin da giovanissima Sonnino intuisce le potenzialità espressive del filo. Durante gli anni Settanta, periodo del suo esordio, si respira un generale senso di rinnovamento culturale, come testimoniano anche i percorsi di altre artiste contemporanee come Maria Lai e Mirella Bentivoglio – entrambe di grande impatto nella sua vita personale e lavorativa.
Quello dell’artista è però un mestiere ancora considerato da uomini e la tessitura è erroneamente percepita come una pratica soltanto femminile e legata alla vita domestica. È Maria Lai, allora sua vicina di casa, a suggerirle una narrazione diversa: le consiglia di utilizzare il filo per realizzare oggetti “inutili”. Da qui nasce e si evolve l’alfabeto di intrecci di Sonnino, la cui ricerca parte dal medium pittorico dove il filo è quasi un elemento iconografico.
Trama rossa (1976) e le altre opere di questi anni sono realizzate a tempera con pennellate sottili e raffigurano schemi semi ordinati di linee e punti. Le composizioni pittoriche sono in realtà solo in apparenza astratte: la loro distribuzione sulla tela richiama immediatamente le trame di tessuti grezzi dalla consistenza quasi tattile.
Da lì il passaggio all’uso fisico del filo è quasi immediato. Le opere polimateriche chiamate Reti segnano questa transizione e preludono agli sviluppi plastici successivi: intrecci di fili di cotone ricoprono le tele sostituendo il segno pittorico, mentre strappi, contrasti di colore e gli effetti in rilievo creati dalla stoffa sembrano dettagli organici di oggetti vivi e mobili.
Forse proprio questa apparenza di vitalità è ciò che guida Sonnino verso la creazione di oggetti tridimensionali. Le soft sculptures, le sculture morbide, – come definite da Simona Campus – costituiscono il nucleo centrale del suo lavoro e sono realizzate con strutture in fil di ferro a cui sono intrecciati fili di cotone.
Il disegno è semplice, improntato sulla sintesi formale e concepito per racchiudere il vuoto oltre che per abitarlo. L’installazione Orchestra (1983), ad esempio, è composta da diciassette strutture sottili e affusolate che richiamano dei leggii. Il fil di ferro è modellato per tracciare soltanto i contorni dei volumi, che rimangono vuoti, un piccolo esercito di sagome leggere, pensate per espandersi e popolare lo spazio espositivo.
Anche il libro, leitmotiv per cui è spesso associata al lavoro di Lai, è un oggetto concepito per avere allo stesso tempo una valenza decorativa, simbolica ma anche architettonica e ambientale.
A differenza dei Libri cuciti di Maria Lai, infatti, – per cui, come sottolineano i curatori, rimane centrale il tema della scrittura – i gruppi scultorei di Sonnino come Libreria (1997) rappresentano libri privi di scritte, chiusi e disposti a strutturare uno spazio. Dimensione spaziale e serialità di forme geometriche imperfette: queste le basi anche di lavori più recenti come Nero e bianco (2021), un insieme affollato di piccoli rettangoli in fil di ferro neri e bianchi, che galleggiano in cerchio, liberi sulla parete.
La partecipazione di Sonnino nel corso degli anni a numerose collettive femminili – tra cui la mostra “Filo, Genesi, Filogenesi” (1980), curata da Bentivoglio alla Galleria Arte Duchamp di Cagliari – testimonia il suo ruolo attivo nei processi riscrittura di una pratica che da emblema di tradizione diventa strumento di riconoscimento. Un movimento tutt’altro che storicizzato e che trova in Sonnino una delle sue figure chiave.
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