Categorie: Mostre

Fulvio Morella con ‘Pars Construens’ al Gaggenau DesignElementi Hub di Milano

di - 12 Ottobre 2021

Cantami o Musa.
Non è soltanto un’invocazione, alla musa ispiratrice, per fare tesoro di un passato – autobiografico quanto collettivo – e da quel passato ricostruire un futuro nuovo, ma è anche l’opera che apre “Pars Construens”, la mostra che presenta per la prima volta alcune opere tratte dall’articolato progetto artistico-culturale “Blind Wood” di Fulvio Morella. Come un megafono che, da un momento all’altro narrerà infinite storie, il lavoro ha in sé tutti i segni distintivi dell’esposizione curata da Sabino Maria Frassà: ovvero l’arte della tornitura ai metalli e il ripensamento del sistema di scrittura braille in funzione artistica ed estetica a duecento anni dall’intuizione di Louis Braille.

Articolata su più livelli, e sapientemente allestita all’interno di Gaggenau DesignElementi Hub, “Pars Construens”, come una Musa, ci narra innanzitutto di Louis Braille che, incontrando un militare all’Istituto dei Ciechi di Parigi, creò il primo sistema di lettura al buio – dando di fatto per la prima volta l’autonomia della scrittura alle persone non vedenti, che fino ad allora potevano solo leggere e che finalmente potevano iniziare a comunicare.

Fulvio Morella e Sabino Maria Frassà, Pars Costruens, 2021

Cuore pulsante della mostra, e del più articolato progetto di Morella, è proprio la comunicazione intesa come esperienza, come assimilazione accrescitiva. Non si guarda e basta, si esperisce infatti. Toccando, ricordando, ascoltando, conoscendo. In una parola, vivendo. Francesco Bacone diceva che «ci sono cattivi esploratori che pensano che non ci siano terre dove approdare solo perché non riescono a vedere altro che mare attorno a sé». “Pars Construens” fa invece crollare tutte le barriere che, superficialmente, si danno per scontate. Una persona non vedente potrà riconoscere l’opera che ha tra le mani sentendone i profumi, toccandone le superfici e leggendo in l’alfabeto braille un sostantivo, un aggettivo, o una citazione – in italiano, in inglese e in francese – ad essa legata che Morella ha inciso su ognuna. Una persona vedente, parimenti, potrà caricare di significati personali tutto quel che vede e potrà scoprire cose nuove toccandola.

Gaggenau Extraordinario, Pars Construens, Fulvio Morella, 2021, credits Francesca Piovesan

Nella prima parte della mostra, seguono Cantami o Musa, Delfi, un omphalos, un ombelico, realizzato con due legni differenti e collocato su una superficie riflettente e due casse da trasporto – tributo a Laura De Santillana – a simboleggiare ancora di più che dalla conoscenza di noi stessi si può costruire il futuro. Termopolio, un bancone in muratura nel quale sono collocati i dolii, grandi anfore, atti a contenere i cibi e le bevande, riscaldati e mantenuti caldi con le braci o con acqua calda, che omaggia il magnifico esemplare riportato in luce a Pompei nel 2019. Profumo di-Vino, che mette in gioco un altro senso, l’olfatto. Realizzata partendo dal legno delle botti in rovere, impiegate per far invecchiare il Nebbiolo, l’opera gioca sull’aspetto del profumo, originalmente nato in relazione ai culti religiosi ed esprime in modo efficace come l’essere umano riesca a rielaborare e trasformare qualsiasi cosa, anche la dimensione del sacro (“divino”) in un elemento profano. Batea, che richiama alla mente due immagini note: la batea, appunto, ovvero il piatto per la ricerca dell’oro, e l’inferno dantesco. L’omaggio alla Divina Commedia è spunto di riflessione di come gli idiomi parlati siano tra gli elementi che più evolvono in modo continuo, nutrendosi del passato: chi di noi potrebbe rimanere insensibile leggendo, toccando o sentendo l’eterno e contemporaneo «E quindi uscimmo a riveder le stelle»?.

Batea, Fulvio Morella, installation view, 2021

Narra ancora, la Musa, nella seconda parte della mostra, della storia dell’architettura e delle nostre città, frutto di una stratificazione architettonica che funziona a tutti gli effetti come un’operazione di assimilazione integrativa. Non si tratta di maquette archeologiche: Morella ripropone il tetto del Pantheon e il Mausoleo di Augusto su superfici specchianti, l’anfiteatro romano di Milano, l’Arena di Verona, la Piazza dell’Anfiteatro di Lucca e l’anfiteatro romano di Catania su lastre di rame sabbiato e, ancora, la cupola della Chiesa di San Giovanni degli Eremiti di Palermo – quest’ultima in legno di amaranto – per darci prova tangibile che il passato è un’intima parte tanto del presente quanto del futuro.

Non dunque cancellazione, né distruzione, né sostituzione: dobbiamo imparare a conoscerci profondamente, a specchiarci, anche là dove è impossibile vedersi pienamente riflessi: il riflesso, ci insegna infatti Morella, si scorge, e può sempre essere integrato.

Gaggenau Extraordinario, Cantami o Musa, Fulvio Morella, Pars Construens, Fulvio Morella, 2021, credits Francesca Piovesan

Concludono la mostra sei opere del ciclo Stone Wood, che giocano con le forme, quadrata e tonda, rivelando un approccio sempre più olistico e inclusivo. In coppia, sembra di intravedere la sagoma delle lettere I e O: è forse proprio l’io, io e altro che sia, che da sempre mette in atto uno sforzo complesso imitativo della natura foriera di bellezza, il destinatario unico di “Pars Construens”: in termini baconiani «l’ape prende una via di mezzo: raccoglie il suo materiale dai fiori del giardino e del campo, ma lo trasforma e lo digerisce con un potere proprio».

Gaggenau Extraordinario, Pars Construens Fulvio Morella, credits Francesca Piovesan

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