É difficile sbarazzarsi del corpo. Perfino una delle performance più celebri di Marina Abramović – “The Artist is Present” – durante la quale l’artista ha reso arte qualcosa di molto simile al nulla, è ricordata dai più per l’unico momento di contatto con le mani di Ulay, il suo compagno di vita.
“The Artist is Absent”, la mostra della Galleria Barattolo di Vincenzo Bordoni, segue la corrente della digitalizzazione perdendo quindi fisicità e materia, ma non riesce a eludere completamente la componente corporea. La mostra è situata nel Metaverso MARTIX – il primo a essere completamente dedicato all’arte – e consiste nell’esposizione, curata da Laura Catini, di tre sculture danzanti in 3D dell’artista Cora Gasparotti. Siamo al culmine della digitalizzazione, dell’impiego delle innovazioni tecnologiche e dell’assenza di materia; eppure, il corpo c’è.
Le tre sculture danzanti ricalcano i movimenti reali di Gasparotti e, a dimostrazione di ciò, è possibile osservare una leggera esitazione prima dell’inizio della coreografia. Infatti, l’artista ha registrato gli spostamenti del proprio corpo tramite il processo di Motion Capture, tecnica con cui si può realizzare una controparte virtuale di sé e dei propri movimenti, per poi trasferirli sulle figure digitali.
L’estetica del modello virtuale è ambigua. Da una parte, non essendo la riproduzione fedele di un essere umano, è spaesante e sembra evocare forme aliene; dall’altra parte, risulta famigliare, perché i lineamenti del volto riprendono quelli delle Statue Stele Lunigianesi, sculture tipiche della terra di origine di Cora Gasparotti. L’intelaiatura digitale è stata poi ricoperta con una simulazione di vernice laccata (in oro, bianco e nero) rifinita manualmente.
Proprio il riferimento alle tradizioni e alla cultura condivisa mostra come la digitalizzazione conduca a una comprensione più profonda della natura e di noi stessi, nonostante si tratti di una modalità ancora in sperimentazione. Infatti, la realtà viene sottoposta a un processo di traduzione che trasforma la nostra percezione visiva nel linguaggio discreto (composto di 0 e di 1) della tecnologia digitale. Ma anche l’artista stessa, soffrendo di un disturbo dismorfico che non le permette di identificare come propria la rappresentazione del suo corpo, può osservarsi e riconoscersi in una nuova dimensione.
L’aspetto davvero rivoluzionario, però, è la possibilità di documentare e di conservare l’esperienza performativa che per sua natura sarebbe fluida ed effimera, aprendo così le porte del mercato a una serie di pratiche artistiche tra cui, chiaramente, la danza. Nonostante tutti i cambiamenti che la digitalizzazione ha apportato all’arte, l’elemento che non viene scardinato è proprio il corpo. Non riusciamo a farne a meno, non riusciamo a liquidarlo e continua a colpirci tanto quanto il tocco tra le dita di Marina Abramović e Ulay riesce a mettere in discussione un’intera performance.
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