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Game Over. La prospettiva politica di Giuseppe Stampone
Mostre
Concepita come la prima retrospettiva dell’artista sul ventennio di attività che va dal 2004 al 2024, Giuseppe Stampone. Game Over rappresenta la fine di un ciclo e restituisce al pubblico una metodologia di lavoro basata su un fare orizzontale e partecipativo, estraneo a dogmatismi e in prospettiva chiaramente politica. Un percorso che si articola nella doppia sede espositiva di palazzo Clemente e palazzo De Sanctis in cui l’artista riparte dalle proprie origini attraverso tre sottotemi differenti: L’Abruzzo, la Storia dell’Arte e la Migrazione.
La prima sezione di Palazzo Clemente è dedicata interamente al disegno, un disegno di vasariana memoria, mosso dall’urgenza di tornare ad avere “mani intelligenti” riprendendo le parole della curatrice Ilaria Bernardi.
Giuseppe Stampone si definisce infatti al contempo un artista concettuale e un artigiano, riabilita la nozione di tecnica, recuperando quella capacità del “fare” tramite cui il concetto assume una forma unica e irripetibile. Un disegno che riflette la formazione rinascimentale dell’artista sia negli espliciti riferimenti iconografici che nell’utilizzo della velatura e della prospettiva. La prima, è insieme strumento di stratificazione del tempo e azione politica di recupero del proprio tempo intimo del “fare”, ogni opera prevede infatti più di quaranta stratificazioni che richiedono dai due ai tre mesi di lavoro. La seconda invece, strumento di costruzione politica della verità, viene utilizzata dall’artista per comporre storia e contemporaneità nel processo di risignificazione del reale. È in questo contesto che è possibile riconoscere, nello spazio scenico della Tempesta di Giorgione (1506-1508), l’immagine ancora troppo attuale, di una donna che stringe tra le braccia la salma di un bambino (Spazio Schengen, 2018).
Una fisionomia più tecnico-progettuale assume invece il disegno nell’installazione 18 invenzioni + 1 del maestro Giuseppe Stampone che cambieranno il mondo, 2008. Otto disegni, distesi su banchi in legno, definiscono uno spazio di studio atto alla sperimentazione di forme di apprendimento e comunicazione alternative, provenienti dal basso. Un computer, una croce e una lampadina vengono sezionati e risignificati attraverso il linguaggio e l’ironia, trasformandosi rispettivamente in “uno strumento per sviluppare relazioni”, “un dispositivo polivalente” e “uno strumento per il prolungamento del giorno”.
Un processo collettivo, condiviso con bambini di ventuno paesi del mondo, che vuole riflettere sul valore politico dell’educazione, come recita la scritta al neon dell’opera Global Education, 2024. Il progetto, di natura esperienziale, mira ad una nuova alfabetizzazione e prende forma in una serie di Abbecedari e Mappe che ci conducono direttamente a palazzo De Sanctis, dove si unisce in maniera più stringente al tema del ritorno alle origini.
Il piano terra è infatti dedicato all’Abruzzo, terra d’origine dell’artista, qui incontriamo Saluti dall’Aquila, 2011 un progetto dedicato al sisma che colpì la città il 6 aprile 2009. All’interno di tre grandi teche a parete, le pagine di un antico manuale di architettura abruzzese incontrano le fotografie della “zona rossa” scattate dall’artista, le cicatrici tubolari degli edifici coinvolti generano nuove architetture che attraverso prolungamenti grafici a inchiostro si impadroniscono della memoria storica, invadendola.
Un tavolo al centro della sala raccoglie migliaia di cartoline, alcune delle quali inviate ai partecipanti del G8 dell’Aquila del 2009, denunciano la spettacolarizzazione del dramma, che torna acusticamente al centro dell’attenzione attraverso una pausa. Il suono del terremoto interrompe la sigla della Paramount Pictures, lasciando il visitatore in un uno stato di attesa e sospensione. Da ultimo un abbecedario collega ogni lettera del titolo ad un’immagine di copertina della rivista Time, inserendo di fatto la tragedia del sisma all’interno di una riflessione più ampia sulle urgenze internazionali.
Raggiungendo il primo piano, l’Abruzzo “forte e gentile” incontra il secondo sottotema della mostra, l’omaggio alla Storia dell’Arte, nelle due grandi mappe Global Education, 2023 e Aprutium, Abruzzo mon amour, 2023.
Qui lo sguardo si concentra sul rapporto dell’artista con la Storia dell’Arte e sulla relazione con alcuni grandi artisti del passato che ne hanno influenzato l’opera, tra cui Giulio Paolini. Su pareti dipinte completamente di nero appositamente per la mostra, l’artista dispiega davanti agli occhi del visitatore le proprie mappe mentali. Un processo di sovrascrittura attraverso cui rileggere la contemporaneità dove le figure stilizzate della Flagellazione di Cristo di Piero della Francesca si intrecciano al concetto di prospettiva come “arma da guerra” al servizio dell’eurocentrismo e del capitalismo. (De Prospettiva Pingendi, 2024).
Il ribaltamento del punto di vista mutuato da Giulio Paolini, omaggiato nell’opera Giuseppe Stampone di fronte allo sguardo di Giulio Paolini da giovane, 2024 viene riproposto dall’artista in Ritratto di mitomane, 2024 dove uno specchio, posto alla fine di una sequenza di autoritratti di artisti famosi intrappola l’immagine del visitatore inserendolo temporaneamente e illusoriamente tra le “celebrità” nella doppia condizione di artista e spettatore.
La portata politica della pratica artistica di Giuseppe Stampone è ancora più evidente all’ultimo piano, dedicato al tema della migrazione. Il progetto Emigration Made Pavilion 148, 2015 attraverso disegni e sculture esplora il tema del confine, dello straniero e dell’ospitalità. Due camion radiocomandati diventano improvvisati spazi di abitabilità nelle mani dei grandi poteri, si fronteggiano specularmente evocando non solo l’impossibilità di raggiungere la destinazione agognata, un mondo migliore, ma anche il rovescio della medaglia di un problema che per alcuni si trasforma in un’opportunità economica (Retta finita, 2015).
Una società contraddittoria, emerge in Golden Residences, 2016 dove il materasso diventa spazio di scontro tra due realtà molto distanti tra loro, quella di coloro che disponendo di mezzi finanziari possono accedere ad alti livelli di sicurezza, opportunità di istruzione, opzioni sanitarie e uno stato di diritto affidabile e quella di chi invece è costretto a fuggire nel tentativo di salvarsi la vita. Una vera Via crucis, 2017. Quindici disegni a penna Bic, riportano al centro dello sguardo, la persona, nel corpo esanime del bambino siriano Aylan Kurdi, morto a seguito di un naufragio e divenuto emblema della crisi migratoria. Una retrospettiva questa in cui il ritorno alle origini dell’artista diventa punto di partenza per una riscrittura del mondo, secondo un modello collettivo che fa della pratica artistica uno strumento di rieducazione sociale e soprattutto di protesta politica.