«Si può partecipare ancora», dice spontaneamente Giangiacomo Rocco di Torrepadula presentando da Assab One a Milano il progetto di mail art partecipativo “A Postcard for Floyd. A Blind Sight Story” con cui ha coinvolto centinaia di persone in una riflessione corale sul razzismo.
Curata Luca Panaro, in collaborazione con Chiara Ferella Falda e Pier Paolo Pitacco, e realizzata con il contributo di Fondazione Cariplo, la mostra ha inaugurato lo scorso 25 maggio, concorrendo con il triste anniversario della morte di George Floyd, ucciso da un poliziotto bianco di Minneapolis che lo costrinse a terra per nove interminabili minuti, soffocandolo con un ginocchio sul collo. Da allora le ultime parole di Floyd, «I can’t breathe«, sono diventate tremendamente famose. Tutti, indistintamente, ne conosciamo il significato – «non riesco a respirare» – e l’origine: una morte inumana e ingiusta, filmata, fotografata e diffusa sul web. Ci sono state reazioni che hanno fatto rumore, coscienze risvegliate con indignazione e consapevolezza popolare (Black Lives Matter, il più grande movimento sociale di protesta nella storia degli Stati Uniti). Ma anche reazioni intime, istintive, commuoventi.
Si, è commuovente quella di Giangiacomo Rocco di Torrepadula, che ci mette davanti al dolore di Floyd con una sequenza fotografica di una candela privata della sua fiamma, lavorando sull’assenza, realizzando immagini che rasentano l’astrazione, scegliendo la strada della metafora.
Nove fotografie, una per ciascuno di quei drammatici minuti, di una candela che si spegne scomparendo dal fumo iniziale nel nero profondo dell’immagine. Per quanto sia indubbio che si tratti di fumo, è altrettanto onesto abbandonare la sintassi e non avere paura di riconoscere in quella sequenza un respiro: voluto, cercato, preso con forza (seppur debole), vissuto e infine esalato, per l’ultima volta. Come se quella candela parlasse «di chi la guarda, non di Floyd. É chi osserva la candela, che si spegne», ha contribuito Adama Sanneh.
«Chiariamolo subito: questo è un progetto che parte da uno spunto egoistico, per ritrovare la mia libertà. E non è un progetto per le persone nere, è per quelle come me, bianche», ci tiene a precisare Giangiacomo Rocco di Torrepadula. Ed è vero, perché siamo proprio noi, bianchi, a trovarci di fronte e fare i conti con la nostra coscienza, troppe volte indebolita da pregiudizi e cecità mentale. «Esiste una strana malattia. Si chiama Blind Sight. Accade quando la parte del cervello deputata alla decodifica del segnale visivo si lesiona e non riesce più a elaborare le informazioni che l’occhio continua a inviare. Si diventa ciechi, almeno in apparenza. Perché in realtà si mantiene una capacità visiva inconscia. La Blind Sight, è dunque una cecità mentale, della coscienza. Un’incredibile analogia con il razzismo e con i pregiudizi», racconta l’artista nel libro edito da Skira che accompagna la mostra.
Una delle fotografie della sequenza è stata stampata nel formato della cartolina e spedita a circa 600 persone con la richiesta di restituire un disegno, un’immagine, qualunque idea o emozione che quell’immagine suggeriva al destinatario. Così, con lo scopo di generare una riflessione corale sul problema del razzismo e promuovere un movimento di consapevolezza e di azioni positive in ambito culturale, artistico e sociale sul tema del pregiudizio, è nato il progetto di mail art partecipativo. Hanno risposto personaggi famosi, creativi affermati, artisti, nomi del mondo dell’arte e della cultura, poeti, scrittori, esponenti di punta della comunità nera e gente comune.
Assab One accoglie queste cartoline in un allestimento a pavimento che invita a muoversi tra loro e ad abbassarsi, quasi inchinandosi, per leggere più da vicino cosa le persone hanno restituito. «Fear on unknown. Lack of control. Over the edge. Yelling won’t help. Discrimination must stop. THIS IS NOT AN ACRONYM. IT’S A SELF FULFILLING PROPHECY», si legge su una.
“A Postcard for Floyd. A Blind Sight Story” usa l’arte per indurre i canali del ragionamento, parla di violenza senza mai mostrarla, utilizza un mezzo lento e riflessivo come la cartolina, che resta sul tavolo di chi la deve compilare, fisicamente presente, visibile, diventando un richiamo che spinge ad una riflessione intima e ragionata. La modalità con cui è stata immaginata e/o realizzata influenza direttamente la posizione del pubblico rispetto a essa. Non è facile stabile se il suo funzionamento dipenda dai nostri processi percettivi o li disturbi. Di certo “A Postcard for Floyd. A Blind Sight Story” scuote le nostre coscienze, così come Giangiacomo Rocco di Torrepadula porta, chi partecipa, a comprendere la forza e la valenza delle azioni con cui contribuiscono agli eventi quotidiani.
«Si può partecipare ancora»
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