Un titolo preso in prestito dall’LP di Joe Satriani, chitarrista che ha rivoluzionato il genere rock, la pittura di Gianni Asdrubali (Tuscania, 1955) in mostra a Spoleto fino al 13 settembre prossimo ha le stesse forze propulsive di quel brano, sembra surfare sulle superfici di Palazzo Collicola, rischiando ogni istante di cadere ma riuscendo sempre a stare in un equilibrio dinamico ancorchè instabile. Per saperne di più di questo progetto espositivo abbiamo intervistato Marco Tonelli, che ne è il curatore insieme a Bruno Corà.
Parlare di Asdrubali vuol dire introdurre il tema della ricerca pittorica astratta, aniconica e gestuale sviluppatasi fin dagli anni Ottanta, al termine della stagione del “grado zero” imposto alla pittura. Ci puoi introdurre brevemente questo versante astratto del “ritorno alla pittura” insieme ai suoi autori principali?
«In risposta e in contrasto con i ritorni pittorici figurativi della Transavanguardia, degli Anacronisti e in parte della Scuola di San Lorenzo, negli anni Ottanta l’Astrazione povera (Asdrubali, Rossano, Grillo, Capaccio) e la pittura analitica ancor prima (Griffa, Verna, Pinelli e via dicendo) avevano provato a proporre una linea astratta affermativa e d’avanguardia, che appunto non voleva essere un grado zero bensì positivo, costruttivo, contro le tendenze regressive della figurazione che si stava affermando anche a livello internazionale (potremmo accostare loro i Neo-Geo americani). Asdrubali entra come una particella virtuale dentro questo sciame di elettroni, e quasi subito cambia traiettoria, esce dalle forze di attrazione dello stile e dei gruppi e traccia un’orbita che non solo sopravvivrà a tutti i suoi compagni di strada (scomparsi dalla scena), ma risulta oggi ancor più carica, massiva ed energetica di quanto non lo fosse all’epoca. Dimostrando che parlare di aniconismo e forse anche di astrazione e gestualità nel suo caso non ha realmente senso».
Qual è il contributo in termini di innovazione apportato da Asdrubali alla causa aniconica della pittura?
«Direi che la particolarità della sua pittura è quella di conciliare due forze pittoriche storiche apparentemente inconciliabili: da una parte la gestualità romantica, da action painter, aggressiva, esistenziale di Emilio Vedova, dall’altra la disposizione ordinata del campo pittorico, della ripetizione variata del modulo, dell’uscita dalla soggettività di Enrico Castellani (artista con cui ha peraltro tenuto delle personali). La sua innovazione sarà poi quella di capire con sempre più consapevolezza che la superficie pittorica non esiste a priori, che il vuoto e il pieno sono creati dall’azione pittorica che paradossalmente proprio dove accade crea il vuoto. Una consapevolezza che Asdrubali ha ritrovato in alcune teorie della fisica quantistica, un campo di studio da cui una pittura contemporanea che voglia essere innovativa e priva di immagini non può assolutamente prescindere. In questo senso si capirebbe l’assurdità di definire astratta la sua opera, che in realtà è costantemente alla ricerca di figure, di strutture, trame e granularità intime, e forse cerebrali, dello spazio».
La mostra di Gianni Asdrubali da te curata insieme a Bruno Corà a Palazzo Collicola è una retrospettiva. Come si articola il suo percorso espositivo?
«La mostra potremmo definirla un’antologica concentrata, composta da trenta opere o gruppi di opere realizzate dal 1980 al 2020 (quindi il suo intero percorso professionale), con alcuni dei cicli più rappresentativi della sua ricerca (Tromboloidi, Azota, Eroica, Zeimekke), opere in grado di dialogare con lo spazio espositivo inserendosi non solo sulle pareti, ma negli angoli, a terra, sfruttando asimmetrie e sconfinando dai limiti stessi delle cornici architettoniche. Sala dopo sala il percorso si fa sempre più carico di energia, i quadri sembrano nuclei atomici che si disperdono nello spazio, fino ad arrivare all’ultima sala dove elementi irregolari su plexiglass (da Adsrubali definiti ironicamente “Schegge”) sembrano sviluppare l’intuizione dei Quanta di Lucio Fontana in maniera ancora più esplosiva e aleatoria».
Filiberto Menna inserì Asdrubali nel gruppo dell’Astrazione povera, mentre Flavio Caroli in quello del Magico primario. Le etichette e le classificazioni sono quasi sempre invise agli artisti (spesso non a torto) e vanno prese con beneficio di inventario. Fatta questa premessa, in quale alveo di ricerca collocheresti oggi il lavoro di Asdrubali?
«Le etichette (a parte quelle topologiche e territoriali) servono alla critica per impostare discorsi convenzionali che abbiano una parvenza di coerenza, al mercato per vendere non tanto individualità bensì movimenti più rassicuranti, al pubblico e alla stampa per avere punti di riferimento. Se poi le classificazioni possono far comodo agli artisti come opportunità di lancio, non hanno però nessuna attinenza con il significato profondo della loro opera. Asdrubali in ciò è stato estremamente coerente col principio della singolarità e dell’irriducibilità dell’opera di un artista a generalismi critici. È caratterialmente repellente all’inserimento in gruppi, ma non all’essere accostato ad altri artisti, anche molto diversi da lui (penso a Peter Halley). Pittore anarchico per eccellenza, ha saputo difendere i confini della sua poetica facendo pochi compromessi e questa forma di resistenza oggi lo pone come un caso unico di pittura (mi si passi ora il termine per convenienza), “astratta” e “gestuale” in ambito non solo italiano. Però ripeto, troverei più sensato definire in modo nuovo la sua opera: “quantistica”, “multidimensionale”?».
Una delle parole chiave di questa mostra è presa in prestito dall’inglese, mi riferisco a “surfing”. Ce ne puoi spiegare il senso in questo contesto?
«La frase proviene dal titolo di uno dei brani e dell’omonimo album di Joe Satriani, chitarrista che ha rivoluzionato il genere rock, le sonorità e la tecnica di quello strumento, aprendo a sua volta la strada a grandi artisti come Steve Vai. La pittura di Asdrubali ha le stesse forze propulsive di quel brano, sembra surfare sulla cresta dell’onda, rischiando ogni istante di cadere ma riuscendo sempre a stare in un equilibrio dinamico ancorchè instabile. Le evoluzioni delle sue trame, delle sue onde pittoriche, sembrano surfare tra lunghezze di Planck e Super ammassi stellari (ricordate Silver Surfer, il supereroe della Marvel utilizzato come immagine dell’LP di Satriani Surfing with the Alien?), ovvero tra l’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande. Come ha scritto in modo suggestivo lui stesso in catalogo “il surfing è l’azione generata dall’assenza. Ma questo surfing non è liscio bensì a contrasto, è urtante, è un fuggire, andare via, per poi ritornare e sbattere nel suo stesso inizio, e ogni volta che ritorna e urta su se stesso deforma e apre la struttura, trasformando la ‘figura’ dell’immagine, che non è mai la stessa. L’interazione è la figura di questa lotta di questo contrasto tra il surfing e l’alieno”».
Come definiresti la linea curatoriale che hai impresso a Palazzo Collicola dal tuo insediamento come direttore artistico?
«La linea che stiamo seguendo a Palazzo Collicola vuole riabilitare il concetto di “modernità contemporanea”, sviluppando il contenuto stesso della collezione permanente della Galleria di Arte Moderna di Spoleto (cuore nevralgico di Palazzo Collicola), ma in senso del tutto attuale. Modernità in questo caso potrebbe essere impopolare perché, anziché esporre artisti relazionali, performativi e socialmente impegnati come impone il mainstream curatoriale odierno, stiamo tentando di proporre una linea in cui l’opera gode di una sua autonomia formale, materiale, non deve essere necessariamente spiegata a livello concettuale, ma si deve imporre in piena indipendenza da discorsi ideologici, allineati e politically correct. Nell’opera d’arte la forma conta più del contenuto, anzi è il contenuto, il resto è solo discorso, illustrazione, giustificazione. Senza contare che una città piccola come Spoleto, seppure centrale rispetto al Festival dei Due Mondi e a suo modo internazionale, ma priva di importanti gallerie e collezionisti (ricca però di fondazioni prestigiose e raffinate come Fendi e Mahler-LeWitt), non può permettersi di fare le mostre che fanno gli altri musei».
Prossimi progetti?
«Nella primavera 2021, se tutto va bene, terremo una mostra di Mark Francis e una di Eva LeWitt, dipende spesso dalle occasioni, dalle circostanze, non necessariamente da decisioni prese a tavolino».
“SURFING WITH THE ALIEN”, la mostra di Gianni Asdrubali a Palazzo Collicola di Spoleto, sarà visitabile fino al 13 settembre 2020.
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