Questa volta nessun giavellotto trafigge, almeno direttamente, una delle Stelle per purificare le parole, tra le opere iconiche di Gilberto Zorio, in mostra nella sede di Napoli della galleria Lia Rumma, con Le memorie scavalcano il presente e attivano il futuro…La chiamavano Arte Povera, Germano Celant e il gruppo, di cui faceva parte anche Giovanni Anselmo, recentemente scomparso. A metà degli anni ‘60 fu una delle principali risposte all’arte Pop, con il suo essere processuale e realizzata, appunto, con materiali poveri.
«Ogni essere umano è un recipiente di minerali e di acqua, le sue vene, i polmoni e organi sono uno straordinario laboratorio chimico fatto di tubi e alambicchi», dice Zorio che, nel gruppo, è il protagonista sicuramente più alchemico. Nelle sale della galleria napoletana, 11 opere raccontano il suo percorso storico, dal 1968, anno della mostra Arte Povera + Azioni Povere ad Amalfi – quando incontrava i giovani Marcello e Lia Rumma – fino agli altri lavori realizzati successivamente ma che costituiscono un continuum nella sua ricerca.
E, infatti, sembra quasi di essere in un laboratorio chimico, in cui si sperimentano le potenzialità dei materiali che prendono forme e sfidano lo spazio, diventando stelle, torri, giavellotti, remi e canoe, coni, pelle, suoni e parole. Dopo aver attraversato quella che sembra la sala delle sospensioni, in cui si alternano Cono di terracotta, Alambicco su giavellotti e Canoa Mancante, si arriva alla prima Stella per purificare le parole (terracotta rossa), tra le opere più recenti (2023) che attende come un pozzo astrale il sedimentarsi delle parole. L’opera comunica bene con la gemella, nell’altra sala, una Stella per purificare le parole questa volta in terracotta nera, distesa con due estremità staccate. La “testa” è tenuta su da bulloni in acciaio e abbracciato a uno di essi c’è ancora il cacciavite, testimone atemporale di un’attesa necessaria.
Queste opere sono il risultato di un lavoro di sintesi sui materiali, coltivato negli anni ’70, con il cosiddetto “impoverimento dei segni”, con quegli archetipi come la stella, il giavellotto o la canoa che rimandano all’energia in potenza della materia. La stella, in particolare, è concepita da Zorio come «La proiezione del cosmo nella nostra considerazione delle cose, archetipo che l’essere umano sceglie quale unità di misura dell’incommensurabile». Infatti “Le immagini stellari felici…” prendono il sopravvento – non sempre però – nelle tracce di fosforo che illuminano e circolano nella pergamena con la stella vuota, Stella di pergamena (2020), come se in qualche modo la sua memoria astrale si fosse sciolta nella Ciotola Fluorescente (1968) proprio lì accanto.
«I miei lavori – spiega Zorio – sono essi stessi energia perché sempre viventi o in azione, o futuribili». In Pelle con resistenza del ‘69 sentiamo il calore provenire dai fili elettrici, una vitalità che deriva da un lembo di pelle nera come la pece, come la memoria. Alla fine del percorso torniamo all’inizio, dove ci attende la Stella composta da cinque giavellotti intrecciati: si tratta, come ricorda Zorio, «Della prima stella (1974) di giavellotti che blocca le cinque traiettorie e si propone come immagine che concentra le energie».
Artista che ama tornare sui propri lavori, atemporali e mai definitivamente conclusi, Zorio si assicura, in questo modo, una sorta di dialogo interno, traslando le sue opere in una dimensione di continua mutazione.
La mostra di Gilberto Zorio da Lia Rumma, a Napoli, sarà visitabile fino al 6 gennaio 2024.
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