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Giuliano Vangi, prima della scultura viene il disegno: la mostra a Chiasso
Mostre
di Ugo Perugini
La mostra Giuliano Vangi: il disegno, ospitata presso lo Spazio Officina a Chiasso, è stata ideata e fortemente voluta dallo stesso Giuliano Vangi. Purtroppo, il grande maestro fiorentino, uno dei più apprezzati scultori del XXI secolo, è venuto a mancare poco prima dell’inaugurazione, a 93 anni. La mostra, curata da Marco Fagioli e Nicoletta Ossanna Cavadini, con l’allestimento progettato dall’architetto Marco Botta, resterà aperta al pubblico dal 26 maggio e fino al 21 luglio.
L’obiettivo di Giuliano Vangi era quello di mettere in evidenza l’importanza del disegno e del segno grafico che stanno a monte di ogni realizzazione scultorea. Credeva che la scultura come la si intende oggi, frutto di elaborazioni e scannerizzazioni digitali, stia perdendo il suo significato reale. Vangi, che aveva una grande ammirazione per la cultura rinascimentale, riteneva che il compito dello scultore fosse quello di trovare un equilibrio tra tradizione e modernità, avendo sempre al centro l’uomo, «In tutte le sue forme e i suoi sentimenti», come era solito dire.
L’introduzione di strumenti meccanici (ad esempio, scansione 3D dal concept alla maquette) esclude l’intervento della mano dell’artista che, invece, secondo Vangi è fondamentale. Lui si richiamava al noto saggio L’elogio della mano di Henry Focillon, convinto che proprio la mano sia l’unico organo capace di cogliere tutte le sfumature della realtà, inteso quasi come una prosecuzione dell’occhio e del cervello e in grado di creare l’immagine e il disegno, su cui sviluppare il processo creativo della scultura.
Il concetto è stato ribadito anche dal critico Marco Fagioli, nella sua presentazione, riaffermando il carattere operativo e manuale del lavoro dello scultore e ricordando come Vangi abbia voluto recuperare il carattere umanistico e civile di quest’arte contro quello economico e tecnologico che rischia di svilirla.
«Senza l’arte del disegnare non vi può essere pensiero artistico», sosteneva Vangi. E la mostra ne è una testimonianza: quasi 200 disegni, realizzati attraverso otto decenni, sperimentando tutte le tecniche grafiche compresa l’incisione. Tutto il materiale è stato selezionato personalmente dal maestro dai suoi atelier di Pesaro e Pietrasanta.
Questo omaggio postumo tributato a Vangi vuole anche mettere in risalto lo spirito di denuncia che lo animava, insieme alla sua carica provocatoria, e l’esigenza di trasmettere con le sue opere un messaggio positivo di speranza verso il futuro, di fronte alla violenza dell’uomo sull’uomo e sulla natura.
E, infatti, all’ingresso della mostra, dedicata ai suoi disegni, ci accoglie una delle sue sculture più iconiche, quella di un uomo che urla (Uomo con canottiera, 2016) e punta il dito contro chi lo guarda, come segno di denuncia verso il male che non possiamo far finta di non vedere. La cosa peggiore per lui, infatti, era l’indifferenza umana.
La selezione grafica in esposizione parte dai primi disegni del 1944, studi di nudi, per passare al tema dei manicomi (prima della legge Basaglia), all’uomo nel cubo, a significare la mancanza di libertà, fino al suo viaggio in Brasile con opere anche di grandi dimensioni.
Quindi, il ritorno in Italia, il tema del cappotto, il tornado Katrina e altri argomenti. Vangi non è un ambientalista ma, come abbiamo visto, è sensibile al rapporto tra uomo e natura. Non è un pacifista ma affronta con sensibilità il tema della violenza e della guerra. E la mostra si conclude con un altro piccolo bronzo (Uomo che urla, 2024) una delle sue ultime realizzazioni.
Da visitare anche la sezione staccata della mostra al Centro Seminariale Villa Pontiggia (via Lucino 5) a Breganzona, dove nel parco è possibile ammirare due monumentali sculture di Vangi, Persona (2003) e Parallelepipedo rosso (2020). Infine, in un padiglione ligneo realizzato dall’architetto Mario Botta, troneggia la scultura in acciaio Jolanda.