Copia, mimesis, prospettiva: Giulio Paolini mette in scena gli elementi costanti della sua ricerca e, tra lavori inediti e opere della collezione pubblica, costruisce con rinnovata creatività un racconto visivo favorevole a una concettualità che rinnova la complessa scacchiera dei significati attorno all’opera d’arte. Et in Arcadia Ego – che sarà visitabile fino al prossimo 3 marzo 2024 – è stata concepita in forma collaborativa con Patrizia Nuzzo e Stefano Raimondi per gli spazi dei Musei Civici di Verona – Galleria d’Arte Moderna Achille Forti, dove vent’anni fa, tra il 2001 e il 2002, Paolini fu protagonista di un’antologica.
«Quattro brevi parole, pronunciate da non si sa chi, danno voce all’assenza di qualcuno venuto a mancare, reduce, come noi tutti, da esperienze e pensieri trascorsi che la nostra memoria non è in grado di ritrovare… É questo il titolo che annuncia un’esposizione dove incontriamo ancora una volta l’Io di un autore spossessato di sé, di qualcuno cioè che più non possiede, ma è come posseduto, da un’incerta identità, come la famosa figura del “truffatore” tratta dall’affresco pompeiano, qui rappresentato nell’atto della caduta trionfale nella materia dell’arte», spiega Paolini a proposito dell’opera, omonima al titolo della mostra, che si dispone in uno spazio scenografico in una sorta di culla atemporale.
I titoli delle opere scandiscono il ritmo e l’evoluzione del racconto attorno a due elementi, disposti l’uno al suolo e l’altro a mezz’aria: sul pavimento è collocato un ingrandimento fotografico di La Sainte Vierge di Francis Picabia, mentre sospesa al soffitto pende la custodia aperta di un violoncello. Nell’opera Riapparizione della Vergine, fulcro di Habitat (che si lega ai progetti di Gianni Colombo e Marinellia Pirelli esposti ad ArtVerona) e reinterpretazione estesa ed amplificata dell’opera – presente già in collezione civica GAM – L’apparizione della Vergine (1995-96), gli elementi alludono a una rivelazione potenziale. Chiediamo al Maestro come e su quali basi, si può ripensare un rapporto persona-ambiente rinnovato e adeguato al tempo presente. Ci spiega che «L’aggettivo potenziale, presente nella formulazione di questa domanda, trattiene già in sé quanto potrei aggiungere come risposta: l’opera Riapparizione della Vergine dice – direi proclama – nella sua doppia data l’esistenza di una ulteriore successiva versione della sua identità riconosciuta. Questa apertura all’infinito è – credo – la vera verità di quanto intendiamo o presumiamo che sia il divenire di un’opera e dell’intera storia dell’arte».
Rinnovando «qui e ora l’avvento della propria presunta eternità», la Riapparizione della Vergine contribuisce alla definizione di un percorso silenzioso, rigoroso, finanche religioso, entro il quale l’Io di un autore spossessato di sé, di qualcuno cioè che più non possiede, ma è come posseduto, da una incerta identità. Lo troviamo «intento a percorrere la Scala della Ragione come nell’immagine scelta per l’annuncio della mostra» o «intento a confrontare gli elementi che danno vita a Copia e originale, dove il calo in gesso di una mano, in grandezza naturale, dialoga con la forma originale e perfetta dell’uovo di struzzo, nell’incertezza o nell’inversione della propria identità».
Una doppia vita, Dall’aurora al tramonto e Il modello in persona – abitante emblematico ma allo stesso tempo misterioso, dello studio di un artista – completano un percorso in cui emerge che «Un’opera – lascia scritto l’artista nello spazio – non concederà mai a nessuno, in nessun caso, il pieno possesso delle sue generalità e il suo autore sarà soltanto il primo testimone prescelto per compiere la delicata missione di custodire un insondabile segreto».
L’artista non è fuori dal mondo ma neppure nel mondo. Non vuole comunicare in forma diretta, in tempo reale e imporre la sua voce, ma ascoltare, cogliere un’eco. A questo proposito, e in relazione alla Riapparizione della Vergine, chiediamo in ultima battuta che valore possa avere, a fronte dell’incontro con l’Io di un autore spossessato di sé, il recupero del significato delle relazioni rispetto al concetto di habitat. «Un autore credo debba, in certo senso, dimenticare di esserci: arrivare cioè ad annullare se stesso ed accogliere con animo libero dalle proprie inclinazioni l’assoluto dell’opera che attende e alla quale approntare degna ospitalità. In altri termini credo occorra, non solo all’autore ma a tutti noi, una spoliazione della propria presunta personalità senza concedere voce ai cosiddetti contenuti o credenze personali, e poter accedere al silenzio dello spazio dell’opera», ci confida Paolini accompagnandoci verso un significato che allude a una sublime apparizione, in quella culla atemporale precedentemente detta in cui il passato vive nel presente e si trasforma nel futuro.
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