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Grazie Toderi e Marco, una mostra sullo spazio all’Accademia di San Luca
Mostre
«Alla deriva sulle interfacce dove s’annodano i canali interstellari […] Vedo non uno, ma universi ovunque» scrive il poeta contemporaneo Tommaso Ottonieri, nel testo sperimentale “Dai silenzi delle galassie”. Proprio dalla fascinazione per il cosmo e dalla complicità fraterna nasce una nuova mostra di videoarte: “Grazia Toderi. Marco, (I Mark We Mark)”, esposta a Roma, all’Accademia Nazionale di San Luca fino al 30 luglio 2022.
Nel 2019 l’artista aveva chiesto al fratello agronomo, Marco, di realizzare per lei alcune immagini terrestri sulle quali lavorare. Di qui il titolo della personale: «Marco non è solo un nome proprio, è la voce del verbo marcare: siamo noi che marchiamo i confini e poi volevo che in queste immagini ci fosse la traccia di mio fratello».
Con sguardo lucido e contemplativo, intimista ed esteriorizzato insieme, alla stregua del Palomar calviniano, Grazia Toderi restituisce opere frutto di tecniche diverse. Proiezioni, fotografie, mappe, disegni, che ragionano sul cosmo, sulla vita, sulla terra, sul corpo e sui loro possibili nessi. L’artista rappresenta l’universo con la sensibilità di un osservatorio astronomico, un grande occhio aperto ad ogni variabile, curioso di calcolare coordinate e probabilità tra pensiero fisico e metafisico.
Il percorso della mostra a cura di Marco Tirelli, inizia con tre opere video di taglio straniante: al fruitore vengono vertiginosamente sottratte le coordinate spazio-temporali. «Ho voluto lavorare in maniera differente rispetto alla norma. Le pareti non sono più le uniche destinatarie dell’esposizione. La mia mostra è radente». La prima proiezione è infatti sul pavimento. «Ho usato le porte al posto delle pareti: per passare da una stanza all’altra occorre attraversare l’opera. Lo spettatore si fa così portatore di ombra e inoltra ad una riflessione sui concetti di luce e di animazione». La terza opera si sposta invece sul soffitto. «I soffitti di Roma sono sempre stati usati dagli artisti, si lavora sulla distorsione».
Le immagini vermiglie che si susseguono nei video sembrano incandescenti: «Può trattarsi del magma terrestre, di Marte o ancora di addensamenti stellari. Ho unito terra e cielo. Uso spesso il colore rosso, trasmette energia, vita. Inoltre la gamma del rosso indica se una stella si sta avvicinando o allontanando da noi».
Compaiono poi alcuni strumenti di misurazione rotanti: un goniometro, alcuni crocini. C’è la volontà di meditare su una nuova idea di croce, insieme mirino letale, strumento di messa a fuoco e simbolo della cristianità. Il tentativo è quello di una messa in guardia e una critica verso gli schermi con i quali abbiamo a che fare ogni giorno, la moda degli NFT, la sottrazione della geografia dalle scuole e all’apologia del meta-verso.
Accompagnano i video, alieni effetti acustici di fondo. «Il silenzio non esiste. E le orbite dei pianeti sono anche quelle dei nostri occhi. Appartengo a quella generazione che ha visto per la prima volta le immagini della terra dall’alto, lo sbarco dell’uomo sulla luna. E mi sono sempre immaginata la solitudine dell’astronauta, che ha lo stesso sguardo del satellite. Lontano da tutta l’umanità».
Lungo il portico dell’Accademia, alcuni disegni preparatori per il video Orbite rosse, esposto alla Biennale di Venezia del 2009. Sulla carta si depositano fusi di stagno a generare mobili lamine di luce. Il percorso prosegue in salita. La rampa del Borromini ospita infatti circa quaranta disegni, del ciclo Eterno impersonale (2006), Disappearing Map (2016-2018) e Dissolving Babel (2019). Un ulteriore video chiude la personale dell’artista: su un pentagramma ellittico le note del Misericordias Domini, K. 222 di Mozat, s’illuminano a intermittenza.
In occasione della mostra sarà pubblicato un catalogo con una conversazione tra Grazia Toderi e suo fratello Marco e un testo critico di Claudio Strinati.