Greta Schödl: 70 years of work, questo il titolo della retrospettiva che resterà aperta fino al 20 dicembre 2024 alla Richard Saltoun Gallery di Roma. La mostra ripercorre il lavoro di Greta Schödl (Hollabrun, 1929), artista austriaca d’adozione bolognese, attraverso una selezione delle sue opere dagli albori a oggi, permettendo di cogliere con chiarezza l’evoluzione delsuo linguaggio visivo e l’importanza della sua pratica artistica. Per l’occasione, la galleria ha commissionato alla Litografia Bulla di Roma la produzione di un cofanetto in edizione limitata di 20 stampe dell’artista, intitolato Animali Fantastici.
L’esposizione si inserisce in un contesto di crescente risonanza del lavoro di Schödl, tornata quest’anno alla Biennale di Venezia – la prima volta avvenne nel ’78 – e a breve ospite del Phileas – The Austrian Office for Contemporary Art di Vienna, per una mostra personale che inaugurerà a gennaio 2025. L’artista tornerà così a esporre nella città dove la sua carriera è iniziata, in un ricongiungimento emblematico.
Esponente della Poesia Visiva, Schödl indaga il rapporto tra la parola, la materia e il significato, decostruendo il testo e fondendolo con il supporto su cui lavora, in una stratificazione semantica e materica. Ripetendo in modo quasi ossessivo un concetto, una frase, una parola, li svuota del loro significato, non lasciando altro che il significante, il tratto, il segno grafico, iterato infinite volte a comporre una trama visiva.
La mostra inizia con la sua più recente produzione: un corpus di opere in marmo della serie presentata alla Biennale. Sulle superfici delle pietre, l’artista scrive ripetutamente le parole «marmo» o «granito», indicando la composizione materica del supporto scelto e ricoprendolo interamente, come lei stessa afferma «Rivestendo la superficie con il suo nome». A cadenzare queste trame di parole, appone la foglia d’oro – elemento trasversale a tutta la sua produzione e retaggio dell’arte secessionista – che, colpita dalla luce, genera un’oscillazione, un’interruzione del flusso continuo rappresentato dalla trama. Così il marmo, materiale pesante e durevole per eccellenza, instaura un dialogo con la fugacità del linguaggio, in un’esemplare manifestazione di poesia visiva.
È interessante osservare come Schödl sia passata dai materiali delicati e leggeri dei primi anni della sua carriera, all’estremo opposto dello spettro materico, in questi anni più recenti, seppur mantenendo una coerenza stilistica e contenutistica, e una delicatezza di fondo nei modi e nei contenuti del messaggio veicolato.
In mostra, abbiamo la possibilità di fruire in modo organico di questa trasformazione, a partire dalle opere degli anni ‘70 e ‘80, dove i supporti scelti sono pagine di antichi manoscritti, carte artigianali, tessuti, su cui vengono stratificati colori, colle, foglie, petali, ricami e le immancabili trame di parole, in una ridefinizione dei confini tra testo e immagine.
Un esempio di grande rilievo è Firenze 1966 (anni ‘70), opera realizzata su una tenda di recupero del negozio fiorentino di Dino Gavina, marito oggi non più in vita dell’artista, che venne usata per proteggere i mobili in esposizione, durante la tragica alluvione avvenuta in città nel 1966. Schödl, in un intervento di restituzione di significato, decise di dare nuova vita a questo oggetto, ormai macchiato, usurato e altrimenti da buttare. Oggi, possiamo osservare da vicino come la trama del tessuto, saturata dalla ripetizione delle scritte «Firenze 1966», sia intervallata da delicati tocchi in foglia d’oro, che avvalorano la nuova dimensione storica dell’artefatto, sovrapponendosi alla superficie rovinata della tenda, in un recupero tanto reale quanto simbolico dell’oggetto e in una sua magistrale elevazione ad opera d’arte.
Risulta chiara la tendenza dell’artista a lavorare sui contrasti e sulle contraddizioni, siano essi materici o di significato. Vediamo la foglia d’oro apposta su oggetti d’uso comune, la volontà di ridare lustro a ciò che ha perso valore, di rendere l’emarginato protagonista di una nuova narrazione; così l’atto quotidiano della scrittura trascende la sua primaria funzione comunicativa e riscopre nuove potenzialità immaginifiche.
Nella serie I fantasmi di Greta (ANALISI) (anni ‘70), di cui troviamo testimonianza in fondo alla galleria, si può osservare con chiarezza il lavoro certosino, quasi maniacale, che ha caratterizzato, agli esordi, l’opera di ricerca dell’artista relativamente al tema delle sovrapposizioni materiche, formali e linguistiche. Osservando da lontano, si intravedono volti onirici ma, più ci si avvicina, più emergono gli elementi essenziali della trama sottesa all’opera: scritte reiterate con tratto sottilissimo, geometrie organiche e una molteplicità di dettagli ridondante, a creare illusioni ottiche perfette.
La retrospettiva si conclude con un’opera a parete delicatissima, Untitled (Leaves) (anni ‘80): una composizione di foglie vere, apparentemente spostate dal vento, seccate e apposte su supporti in compensato di legno che ne prendono la forma. Su di esse, impressi con l’attenzione e la cura tipica dell’artista, osserviamo dei geroglifici in foglia d’oro, i cui riflessi generano un fine gioco di luci.
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