All’interno degli spazi della galleria Frittelli Arte Contemporanea, veniamo come trasportati a sessant’anni fa, più precisamente al 1963, anno di nascita del Gruppo 70. Costituitosi nel maggio del 1963, in seguito al convegno Arte e comunicazione, promosso da Lamberto Pignotti, Eugenio Miccini, Sergio Salvi e Silvio Ramat, il Gruppo 70 è formato da una frastagliata compagine di poeti, narratori, critici, intellettuali, artisti e musicisti, legati alla scena sperimentale fiorentina. Prima ancora di immergerci nella “lettura” della mostra, mi piace ricordare le premesse e il contesto in cui nasce la Poesia Visiva, periodo in cui vi era un vero e proprio lavoro sulla parola scritta.
Pignotti definiva la Poesia Visiva come «una poesia che ricerca dei rapporti fra materiale verbale e materiale visivo, ambedue i materiali per lo più tratti e ‘rigenerati’ da quotidiani e rotocalchi, strumenti di informazione di largo consumo. In breve si può dire che la poesia visiva di oggi – e qui se ne scorge chiaramente l’ascendenza dal tronco della poesia tecnologica, cui in fondo appartiene – tende a capovolgere di segno i messaggi della comunicazione di massa (giornalismo, pubblicità, fumetti, ecc.) che puntano al rapido consumo delle informazioni. La poesia visiva ironizza e contesta proprio tale processo che presuppone e alimenta la passività di chi riceve l’informazione: da qui la sua portata insieme estetica e ideologica».
Se il concretismo costituisce il momento inaugurale e il tessuto connettivo di questo nuovo movimento di sperimentazione tra letteratura e arti visive, la vera e propria frontiera è il recupero del valore linguistico della parola e dell’immagine. La poesia si disfa lentamente del suo tradizionale significato per acquisire nuove possibilità espressive. La parola diventa libera, si fa visiva ed esce dai suoi confini prestabiliti, diventa un fatto visuale, con la dislocazione stessa delle parole all’interno di un una pagina o di un quadro.
Pronti a essere lettori attivi e critici, osserviamo/leggiamo i numerosi collage, le fotografie, i materiali d’archivio e i filmati degli esponenti e promotori del gruppo, Antonio Bueno, Giuseppe Chiari, Ketty La Rocca, Lucia Marcucci, Eugenio Miccini, Luciano Ori e Lamberto Pignotti, che secondo il loro operare artistico sconvolgono il segno dell’immagine.
Esempi di cosa incrociano i nostri occhi sono l’opera Si Barone di Lucia Marcucci del 1964, un collage di ritagli di estratti di giornale su cartone, oppure sempre della Marcucci Fra tutti si distingue del 1965, in cui l’attrice Ingrid Bergman sfila in tre abiti disegnati da Nina Ricci per il film La vendetta della signora, già il titolo è indicativo, l’adesione acritica alle tendenze della moda rende le donne vittime e prigioniere di uno status symbol. Ketty La Rocca colpisce con le sue frasi collage Minaccia la vita del 1964/5, o, come nel lavoro Dolore…come natura crea, affianca la parola dolore a una serie di raffigurazioni di visi e parti della donna. Ci attardiamo anche nella lettura della Partitura del 1961 di Giuseppe Chiari. Compositore che gioca con la musica, il linguaggio, il gesto e l’immagine. Di Luciano Ori abbiamo temi politici come ne Il metro e l’ora del 1965 con richiami a Nikita Krusciov, ex capo dell’Unione Sovietica, affiancato da articoli sulla lotta dei neri. Colpiscono I disegni inediti di Luciano Pignotti Hanno messo a nudo la piaga dell’omertà e della corruzione.
Il lettore/visitatore perde la percezione del tempo, ogni singolo lavoro ha bisogno del suo tempo di riflessione, ogni opera ci rapisce attraverso il gioco ironico di parole e immagini. La lettura della mostra è scandita solamente dal mutamento del linguaggio artistico dell’artista esposto. Al termine, una volta apprezzate e vissute e lette nella loro interezza, le opere sembrano dialogare tra loro, se ne possono quasi percepire le affinità. Gli argomenti trattati spaziano dall’ecologia alla denuncia del sessismo, della cultura patriarcale, al colonialismo e a situazioni economiche e politiche legate all’egemonia dell’Occidente.
Ci rendiamo subito conto di quanto il Gruppo 70 usufruisce della poesia visiva per intraprendere una vera e propria guerriglia, si impadronisce delle parole e delle immagini per farsi portavoce di verità scomode e denunciare la società postindustriale. Come nel momento in cui finiamo di leggere un libro o anche una poesia siamo portati a riflettere sul senso e sulle conclusione di quanto letto, al termine della “lettura” riflettiamo sul come, in una società mal funzionante, come quella in cui viviamo, avremmo bisogno della stessa ironica e feroce denuncia del contemporaneo mal funzionamento. Anche oggi avremmo bisogno di personalità come i promotori del Gruppo 70, mai come adesso avremmo bisogno della poesia.
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