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Hardchitepture. A Lodi l’ultimo episodio di FARE COLLETTIVO
Mostre
Giunto ormai all’ultimo atto dell’anno e alla sua conclusione naturale, “FARE COLLETTIVO” ha offerto alla città di Lodi la possibilità di immergersi nel lavoro dei giovani collettivi artistici che hanno preso parte al programma. E BELLO DOPPO IL MORIRE VIVERE ANCHORA è il titolo del simposio che si è tenuto negli spazi di Platea nella giornata inaugurale di questo ultimo atto di FARE COLLETTIVO. Si è parlato del concetto di fine, di fallimento, di cosa voglia realmente dire fallire in qualcosa, in compagnia di artisti, giornalisti e visitatori. La tavola rotonda, curata da Palazzo Bronzo, ha anticipato l’apertura della vetrina di Platea | Palazzo Galeano su Corso Umberto che, come al solito, ha strabiliato tutti i presenti all’evento.
Suggello, un lavoro che mette fine (un suggello, per l’appunto) alla collaborazione degli Hardchitepture, la cui pratica artistica si è sempre distinta per lo sguardo rivolto al cambiamento, alle mutazioni del materiale e della forma, ai ri-assemblanti secondo una concezione di riciclo del mezzo usato. L’installazione Suggello si presenta come un mucchio di oggetti preesistenti, un insieme di pezzi di un lavoro finale indefinito. Si tratta infatti di una serie di lavori realizzati dal collettivo nel corso degli ultimi anni, rimessi insieme a suggello del valore intrinseco di una collaborazione che proprio il 7 novembre 2024 è giunta alla fine. Un’opera site-specific, macerie di quello che è stato e di quel che rimarrà del collettivo.
Le rovine come residuo, non come inizio ma come fine. Una fine non imminente bensì in corso, come la materia che si evolve prima verso nuove forme e, infine, verso la naturale cessazione della propria esistenza. Il lavoro degli Hardchitepture sprigiona in questo senso una serie di significati profondi, mettendo insieme variegate forme di esistenza della propria pratica artistica, che, come la materia, giunge alla “distruzione”. In occasione della tavola rotonda si è toccato il tema della fine, del fallimento di tutte le cose: quali sono le cose che non finiscono mai? In che modo un’attività umana si può definire un fallimento o meno?
Partendo proprio dall’esperienza del collettivo, artisti, curatori, critici, professionisti del settore si sono confrontatia sul tema della fine applicata alla formula dei collettivi. La conclusione a cui si è giunti tutti insieme è che probabilmente ha poco senso parlare di fine o di fallimento, perché qualsiasi impresa, attività o unione avrà un punto di inizio e uno di arrivo. Ciò che occorre sottolineare, di conseguenza, è il percorso attraversato assieme al prossimo, e nel caso dei collettivi artistici il percorso che porta alla nascita di idee, sperimentazioni, fallimenti e successi inaspettati.
Come aveva spiegato il gruppo curatoriale di Platea in occasione della presentazione di FARE COLLETTIVO: «Oggi, l’artista interessato ad affrontare questioni sociali, politiche ed economiche si trova immerso in uno spazio in cui campo d’azione e riflessione coincidono. Si trova, cioè, a incarnare non più solo il ruolo di osservatore e traduttore di fenomeni, quanto quello dell’attivatore, dell’educatore, di un agitatore dei territori nei quali è coinvolto. In questo contesto, l’aspetto relazionale gioca un ruolo fondamentale, lo stare insieme si fa allora prassi e modalità di sopravvivenza». Dunque, la domanda implicita che occorre porsi è per quale motivo si formano i collettivi. Hardchitepture era attivo dal 2019, composto da Lorenzo Conforti, Andrea Luzi e Vittorio Zeppillo. La loro ricerca individuale aveva portato alla creazione del gruppo per indagare su tematiche eterogenee, underground, che i tre artisti hanno integrato per produrre arte insieme.
Oggi i tre artisti non sono più parte di un collettivo. È questa è la conclusione ideale di una rassegna che ha evidenziato la forza di fare collettivo, ma che volge al termine annunciando un messaggio fortissimo, ossia che anche i legami più forti posso terminare. Cosa ne sarà adesso di loro? Dietro alla vetrina sono rimaste le macerie delle performance degli Hardchitepture, i residui di un lavoro di cinque anni. Il suggello del progetto è dunque l’elemento buttato, lo scarto, la cui forza artistica non risiede più nel fatto di essere opera ma nell’essere un residuo di pezzi d’arte messi assieme. Platea sta inoltre per subire un’evoluzione, motivo per il quale ci saranno dei cambiamenti nella direzione artistica e curatoriale del progetto. Il valore simbolico di Suggello risalta in mezzo a tutti questi cambiamenti, conclusioni di rapporti che indubbiamente daranno vita a nuove idee, lavori, significati.
Nel breve intervento del collettivo, i tre artisti leggono il testo riportato su una colonnina accanto all’intervento in vetrina, sottolineando come: «Il progetto ha cambiato forma più volte durante l’anno. Alla fine, ciò che ne è venuto fuori è frutto della metodologia del gruppo, un lavoro spontaneo che riassume benissimo quello che è stato il nostro collettivo, una bellissima relazione tra amici con una visione». E viene quindi letta l’ultima frase che accompagna l’installazione: «Abbiamo raccolto questi materiali, li abbiamo accuditi e fatti crescere. Ora è il momento di farli tornare da dove sono venuti, così come loro: Hardchitepture».