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Henri Cartier-Bresson e Riccardo Moncalvo raccontano l’Italia del Novecento, da CAMERA
Mostre
CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia presenta contemporaneamente due importanti mostre d’archivio dedicate al lavoro di Henri Cartier-Bresson e di Riccardo Moncalvo. Attraverso due differenti lenti fotografiche viene raccontato il Novecento italiano partendo casualmente da una data in comune, il 1932. Henri Cartier-Bresson e l’Italia, a cura di Walter Guadagnini e Clément Chéroux, è una inedita rilettura della carriera del fotografo francese, visitabile fino al 2 giugno 2025. Riccardo Moncalvo. Fotografie 1932-1990, a cura di Barbara Bergaglio, è invece una selezione di 50 stampe vintage che raccontano i cambiamenti urbani e sociali durante i 60 anni di carriera del fotografo, fino al 6 aprile 2025.

L’Occhio del secolo.
Henri Cartier-Bresson e l’Italia è un progetto dedicato per la prima volta in assoluto al lavoro del fotografo francese in Italia. La mostra, affermano i curatori Walter Guadagnini e il direttore della fondazione Henri Cartier-Bresson Clément Chéroux, è stata una preziosa occasione di ricerca intenta a ricostruire e rileggere la sua carriera. 160 scatti e documenti d’archivio, di cui alcuni inediti, compongono la più importante monografica mai realizzata, offrendo uno spaccato socioculturale dell’Italia attraverso lo sguardo di uno dei fotografi più autorevoli della storia del Novecento. Grazie all’importante lavoro di ricognizione realizzato per l’occasione, i primi scatti di Henri Cartier-Bresson (1908-2004) in Italia sono stati retrodatati al 1932. La mostra segue un ordine cronologico, raccontando i suoi viaggi in Italia durante mezzo secolo di carriera.
Autoritratto (1932) mostra Henri Cartier-Bresson disteso e rilassato su un muretto di paese, al centro della composizione il suo piede scalzo rimanda alla condizione di spensieratezza e giovinezza del fotografo a quel tempo. “Le fotografie possono raggiungere l’eternità attraverso il momento” afferma Henri Cartier-Bresson e questa fotografia ne è un esempio. L’inizio della sua carriera coincide con il viaggio di piacere in Italia del 1932 in compagnia dello scrittore André Pieyre de Mandiargues (1909-1991) e l’artista surrealista Léonor Fini (1907-1996) da cui molto probabilmente sarà ispirato per il resto della sua vita. Dalle sue fotografie si evince un amore per la composizione, frutto di una formazione accademica in pittura. I primi scatti hanno come soggetto un’Italia agricola, semplice ed essenziale e alcuni di questi diventeranno iconiche immagini della cultura popolare italiana. Il fotografo coglie la tradizione e lo spirito del popolo italiano attraverso una panoramica della vita di strada. Questo è uno dei motivi per cui Cartier-Bresson predilige l’Italia, come il Messico, l’India e i paesi latini dove, contrariamente ad altri paesi del nord Europa, la vita si svolge all’aperto.

Henri Cartier-Bresson torna in Italia nel ‘51 da fotografo ormai affermato, percorrendo l’Italia da nord a sud in un vero Grand Tour. Ha fondato da qualche anno, con Robert Capa, David “Chim” Seymour, George Rodger e William Vandivert, la nota agenzia Magnum Photos e si è guadagnato l’appellativo di Occhio del Secolo. Il fotografo francese continua a recarsi regolarmente in Italia, fino alla fine della sua carriera negli anni Settanta. L’unico decennio in cui non ha documentato l’Italia è stato durante gli anni Quaranta, gli anni della guerra. La mostra offre una duplice visione, l’evoluzione del fotografo avviene di pari passo con l’evoluzione della società italiana, come afferma il curatore e direttore artistico di CAMERA Walter Guadagnini.
Gli scatti degli anni Cinquanta e Sessanta sono più maturi, decisi, definiti. Le sue fotografie sono composizioni equilibrate, quasi scenografiche. I personaggi coinvolti sembrano essere attori di un film da lui diretto. Durante l’arco della sua carriera artistica Henri Cartier-Bresson ha saputo comprendere la penisola in maniera intima penetrando nell’animo del popolo e sapendone valorizzare le molteplici sfumature. Negli anni Settanta è testimone del cambiamento della società e nonostante le sue fotografie raccontino ormai un’Italia segnata dall’industrializzazione, l’Occhio del Secolo continua ancora a trovare tracce di quel passato capace di risvegliare in lui l’amore per il Bel Paese.
Clément Chéroux, direttore della Fondazione Henri Cartier-Bresson ha ribadito inoltre l’importanza della collaborazione tra le istituzioni italiane e francesi che, oltre ad essere stata una nuova occasione per rileggere l’operato di Herni Cartier-Bresson, ha rafforzato il legame trai due paesi. Il progetto è stato realizzato con il patrocinio dell’ambasciata di Francia in Italia ed ha come partner le ferrovie francesi e Radio Monte Carlo. La mostra è accompagnata da un catalogo edito da Dario Cimorelli Editore.
Riccardo Moncalvo. Fotografie 1932-1990

Riccardo Moncalvo (Torino, 1915-2008) inizia a fotografare da giovanissimo, a soli quindici anni è socio della Società Fotografica Subalpina e in quegli stessi anni partecipa alle prime mostre fotografiche. Sin da bambino frequenta lo studio fotografico del padre Carlo Emilio Moncalvo, fondato nel 1925, avendo l’opportunità di osservare i fotografi moderni di Torino. Nel 1935 suo padre muore prematuramente e gli lascia la sua attività fotografica.
Quest’anno, cent’anni dopo l’inaugurazione dell’Atelier di fotografia artistica e industriale fondato dal padre di Riccardo Moncalvo, la project room di CAMERA ospita oltre 60 scatti provenienti dall’Archivio Riccardo Moncalvo e da collezioni private, che ripercorrono quasi 60 anni di carriera del fotografo torinese. Moncalvo si dedica alla ricerca fotografica e contemporaneamente al lavoro su commissione per importanti realtà come il Museo Egizio e l’Armeria Reale, ma anche per Pininfarina, Fiat e Recchi. Sono inoltre numerosi i ritratti da lui eseguiti, in particolare quelli dell’alta borghesia torinese. In mostra è presente un primissimo piano di Carlo Mollino, scattato nel 1948.
Nella sua ricerca fotografica è evidente l’amore per la modernità, anche quando ritrae la natura la esalta nella sua armonica perfezione. Immortala la montagna avvolta nell’inverno e al contempo la città in preda alla trasformazione urbana, osserva lo sviluppo industriale e le architetture che evolvono. Le figure umane incluse nelle sue composizioni sembrano essere di passaggio, sono sempre poche e capaci di inserirsi in maniera equilibrata nel paesaggio da lui rappresentato. Nei suoi scatti ogni elemento è disposto in perfetta armonia, valorizzato dal sapiente uso della luce. Dagli anni Cinquanta in poi le sue fotografie diventano a colori, mantenendo sempre quell’alone di meraviglia. Il mondo di Riccardo Moncalvo sembra essere idealizzato ma non è altro che uno specchio della bellezza dello suo sguardo.
La mostra, a cura di Barbara Bergaglio, è accompagnata da un catalogo edito da Dario Cimorelli Editore, con testi della curatrice, di Walter Guadagnini e di Andrea Tinterri.