Henry Martin, autore, critico, traduttore e curatore Afroamericano, nato a Philadelphia nel 1942, arrivò in Italia nel 1965. Qualche anno più tardi, nel 1971, si trasferì ad Aica di Fiè, località sudtirolese in cui ha trascorso l’intera vita, fino alla recente scomparsa. Terra di confine, a nord della Val di Tires, Aica di Fié fu per Martin il “rifugio rurale”, ideale per definire la sua posizione di ascoltatore attivo, interlocutore privilegiato e facilitatore necessario al racconto della storia di molti artisti statunitensi, italiani ed europei, principali protagonisti di Fluxus, Mail Art, Arte Povera e Arte concettuale.
Di queste relazioni la mostra all’ar/ge kunst raccoglie – secondo un allestimento concepito da Martino Gamper – una selezione di libri d’artista, opere d’arte, lettere e tracce di vita che testimoniano la fitta corrispondenza e dialogo di Martin con artisti come Ray Johnson, Gianfranco Barruchello, George Brecht, Geoffrey Hendricks, e Berty Skuber, sua compagna di vita. Testimonianze, dunque, che si rivelano strumento gnoseologico per capire cosa era in gioco nel modo di costruire, materialmente, ciò che oggi la storia dell’arte lascia a noi e per noi pubblico più vasto. Stampe, cartoline, collage, disegni, acquerelli e scambi epistolari assurgono in “Correspondeces: about Henry Martin” a documentazione che sopravvive a rapporti e relazioni che il tempo, passando, rende effimeri.
Il curatore Emanuele Guidi racconta la nascita di questa mostra, pensata come momento di studio e omaggio alla figura di Henry Martin, così: «Il nome di Henry Martin é stato spesso pronunciato ad ar/ge kunst per qualche testo scritto in cataloghi o per traduzioni realizzate, ma non é una persona che avessi mai incontrato a Bolzano. Intorno al 2017 ho semplicemente deciso di togliermi questa curiosità e capire chi fosse questo ‘americano’ che aveva deciso di trasferirsi in regione. Facendo ricerche si é aperto un piccolo vaso di pandora che ha fatto emergere una storia abbastanza unica e da quel momento é iniziato per me un percorso di avvicinamento a lui, che non é stato semplicissimo: Henry Martin era sempre in viaggio e molto occupato lavorativamente, ma finalmente ci siamo incontrati nel 2019 e da lì abbiamo iniziato a parlare. Questa mostra é una piccolo puzzle incompleto che cerca di ricostruire la sua storia a cavallo tra Italia, Stati Uniti ed Europa con moltissimi artisti ma non solo. Mi interessava restituire il suo atteggiamento verso la figura del critico come interlocutore di artisti che é legata a doppio filo con la sua pratica di traduttore».
Un piccolo puzzle incompleto, dunque, che sembra restituire visivamente le parole scritte proprio da Martin nella prefazione di How To Imagine – A narrative on Art, Agriculture and Creativity (1984, per e con Gianfranco Baruchello): «La storia qui presentata è quindi un incontro tra una voce attiva e un orecchio attivo – una voce che ha detto tutto quello che ha trovato possibile dire, e un orecchio che l’ha recepito con tutta la chiarezza possibile». Un piccolo puzzle incompleto, dunque, che garantisce la persistenza nel tempo – anche accentuando la percezione di effimerità dell’oggetto documentato – perché fornisce la prova evidente di un rapporto reciproco esistito e ci permette di ricostruirlo.
Non dunque una semplice tradizione etnografica bensì una vera e propria rappresentazione, implicitamente interattiva, che mantiene intatti gli interventi di Henry Martin garantendone l’identificazione e la circolazione.
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