-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Alla Galleria Monica De Cardenas, in via Francesco Viganò 4, a Milano, che quest’anno festeggia 30 anni di attività, è in mostra fino al 13 maggio prossimo una selezione di 25 opere dell’artista sudafricana, nata in Messico, Georgina Gratrix. Difficile definire i lavori di questa pittrice, animata da uno spirito vitale, spesso incontenibile, che si riversa sulle sue tele, soprattutto grazie all’uso esuberante e materico dei colori, vivaci, sgargianti, e da un modo assolutamente poco convenzionale di trattare i soggetti che dipinge, siano essi ritratti, animali o nature morte.
Gratrix ha una visione tutta sua della vita, delle persone e della natura. Non ricerca per principio la bellezza in sé, non ne è affatto condizionata. Se equilibrio e armonia si intravvedono nelle sue composizioni sembra quasi abbiano scaturigini spontanee, non volute. A lei interessa cogliere aspetti meno evidenti, nascosti nei soggetti che dipinge (compresi i ritratti delle persone), che possono apparire ironici, provocatori, persino caricaturali, ma che allo stesso tempo possono svelare qualcosa di autentico. Insomma in lei non c’è alcuna intenzione di idealizzare la realtà. Non è il suo scopo.
Proprio per questo motivo, non si pone l’obiettivo di individuare un collegamento tra figurativo e astratto, tra forme reali e immaginifiche, e resta sempre a metà tra il gusto di sedurre lo spettatore o quello di sfidarlo apertamente. E così operando anche i colori, sganciati dal rispetto di forme e prospettive, trovano una loro intrinseca libertà, e fioriscono come concrezioni sulla tela (anche grazie all’inserimento di elementi spuri come perline o tessuti) senza poter essere contenuti, controllati, come dice lei stessa in «uno stato di perpetua iridescenza».
Insomma, sembra che Gratrix, per cogliere il continuo cangiare della luce, sia costretta, oltre al ricorso al glitter, a fissare i colori sulla tela a colpi rapidi senza curarsi dei particolari ma cogliendo l’effetto di insieme. Anche l’esuberanza della natura africana (ha vissuto parecchi anni a Durban) la si apprezza soprattutto quando l’artista si pone di fronte ai paesaggi della sua terra, alla foresta tropicale, lussureggiante di fiori di ogni colore e popolata da uccelli variopinti, che coglie ampliando quasi al naturale la dimensione dei dipinti (vedasi l’opera Friends and Friends of Friends, 2oo x 280 cm).
A margine della mostra alla Galleria De Cardenas, abbiamo rivolto due domande a Georgina Gratrix.
Nelle sue opere, lei riconosce, e se sì in che modo, un eventuale influsso dell’arte africana primitiva?
«Sono cresciuta nel Kwa – Zulu Natal, una provincia tropicale e rigogliosa sulla costa orientale del Sudafrica. Questa zona è conosciuta per un artigianato tradizionale che coinvolge l’uso di perline e tessiture dai colori sgargianti. La mia pratica è senz’altro influenzata da queste ispirazioni culturali così come dagli enormi alberi, dalle fronde delle palme, dai fiori e dagli uccelli che la vita in riva all’Oceano Indiano offre».
Quanto è stata importante per la sua crescita artistica e umana la figura della pittrice Irma Stern?
«Irma Stern è una figura di spicco nel panorama culturale sudafricano. L’approccio innovativo e l’uso espressionista della pittura nei suoi ritratti così come nelle sue nature morte hanno avuto un ruolo importante nella formazione della mia pratica. Recentemente ho avuto la fortuna di partecipare a una residenza nella sua casa in cui ha abitato, ora museo, a Città del Capo. La mostra “The Cult of Ugliness” mi ha permesso di esaminare l’eredità di Irma come collezionista e scultrice. Inserire il mio archivio di dipinti di donne in relazione ai suoi ritratti mi ha permesso di comprendere meglio la direzione che sta prendendo il mio lavoro. Rivolgere la mia attenzione agli oggetti della sua collezione mi ha poi permesso di esplorare meglio il genere della pittura di nature morte e le sue infinite possibilità. Irma è stata una pioniera della pittura sudafricana sotto molti punti di vista e in qualità di pittrice donna che lavora in Sudafrica il suo lavoro non può certo essere trascurato».