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Guardando i Profili di Nello Petrucci, esposti in occasione dell’omonima mostra a cura di Chiara Canali inaugurata il 04 marzo negli spazi del museo Giuseppe Scalvini di Villa Tittoni (Desio, MB), l’occhio è come assorbito in un caos calmo, sospeso tra una certa solitudine contemplativa e l’intuizione di una perturbante frenesia metropolitana, che come assopita punteggia le pareti della villa di delizia lombarda risalente alla metà del XVII secolo. Se arrivando dall’esterno e guardando il frontone neoclassico dell’architettura si rimane colpiti dalla serie di statue che vi campeggiano con la loro postura classica e definitiva, una volta varcata la soglia bastano pochi gradini per entrare in uno spazio ogni totalità sembra scomparire.
Non più corpi ma, appunto, ‘profili’: le stesse fisionomie della classicità si frammentano e si saturano, attraversando e lasciandosi attraversare da locandine, manifesti, tracce di slogan e quant’altro si riesca a scovare di quell’alfabeto mediale urbano sempre in divenire. Collage e décollage: così Petrucci smonta, rimonta, preleva e ricostruisce le ramificazioni possibili che può assumere l’immaginario, dove tutto – antichità compresa – può diventare mitologia e icona. Non sorprende allora che nel percorso espositivo gli antichi volti marmorei convivano con altri ‘profili’, ognuno inserito nella propria cacofonia di segni e grammatiche. Da Marco Aurelio al poeta francese del XIX secolo Arthur Rimbaud – che con i suoi versi frantumò a sua volta la realtà nelle infinite possibilità del linguaggio – passando per l’astrofisica Margherita Hack, tra le fondamenta dell’immaginario scientifico contemporaneo, e un giovane Charlie Chaplin svestito del tipico baffo di Charlot, il gesto di Petrucci diventa l’innesco di uno stratificato e complesso cortocircuito orizzontale, dove tempi e figure si confondono, dilatando il proprio mistero.
La mostra Profili offre una testimonianza diretta di come Petrucci, nato a Pompei nel 1981, sbrecci la patina senza pieghe dell’antichità. Uno sguardo, il suo, che scortica e in un certo senso scolpisce il proprio rumore, come se anche i marmi del tempo e della storia diventassero muri di un edificio di periferia, pronti ad accogliere le tracce – i profili – di chiunque passi in quel momento. In questo approccio radicalmente contemporaneo la mitologia incontra allora la fluida disciplina della street art e il glamour olimpico del divismo cinematografico, come evidenzia il critico e curatore Luca Beatrice, nel testo introduttivo del catalogo edito da SilvanaEditoriale: «In verità mi piace pensare che i Profili di Nello […] siano la continuazione attuale di quel pantheon di celebrità inscenato da Warhol negli anni dopo e passato al setaccio della Street Art, il cui sfondo è sempre un muro cittadino sbrecciato, ricoperto di manifesti a pezzi e brandelli».
Le immagini dell’artista sembrano sfuggire, perché quella dell’immaginario è un’anatomia difficile da sezionare, un corpo opaco di cui ne si può intuire la superficie vibrante a patto di porsi ‘alla giusta distanza’. Interessante a tal proposito è la tecnica attraverso cui l’artista rende visibile le architetture instabili di collages, decollages e stampe che caratterizzano la mostra di Villa Tittoni: si tratta dell’halftone – stampa a mezzatinta – attraverso cui rimane visibile a occhio nudo il retino fotografico delle immagini, distillate in una maglia di puntini a metà tra cellule organiche e bit digitali. Come sottolineato dalla curatrice Chiara Canali, è obbligatorio il riferimento al sociologo e teorico dei media Marshall McLuhan, che nel suo testo seminale Understanding Media: The Extensions of Man (1964) definisce l’halftone come medium freddo, con la sua bassa definizione che implica un alto coinvolgimento dell’utente.
Canali continua dicendo che «sia per i profili recuperati dalla classicità sia per i soggetti provenienti dal cinema, Nello Petrucci ha volutamente individuato e scelto la tecnica dell’halftone proprio per questa sua caratteristica di essere a bassa definizione, opaca, discontinua, composta da unità discrete tra le quali sono visibili degli interstizi».
Ognuno è chiamato a colmare le lacune, ponendosi ‘alla giusta distanza’. Se osservate da troppo vicino, le immagini in halftone possono infatti confondersi e confondere, eppure chiamano il visitatore a un’attenzione particolare, ancor più giustificata nel momento in cui si scopre che le stampe installate ora sulle pareti della villa nobiliare sono tutte nate in origine negli interstizi e negli angoli architettonici di alcune città: è il caso, ad esempio, di Red Zone, apparsa a Pompei in cui un gruppo di figure della classicità erra sulla superficie di Marte in compagnia di una sonda rover; oppure di Attese, comparso a Miami, in cui Petrucci fa riferimento alla complessa vicenda giudiziaria e mediatica di Chico Forti, tuttora incarcerato negli Stati Uniti, che viene immortalato mentre aspetta un tabellone di voli – tutti cancellati – per ritornare a Roma.
I profili e le figure di Petrucci vengono dalla strada caotica del Tempo (con la T maiuscola). A Villa Tittoni si lasceranno intravedere fino al 26 marzo, anche se, come in Red Fish – immagine in mostra che è anche locandina del progetto – sembrano essere colti velocemente nell’atto di fuggire.