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Quando pensiamo alla scultura in legno ci vengono in mente le icone religiose. Uno scultore come Stephan Balkenhol capovolge questo pregiudizio e dimentica qualsiasi riferimento religioso quando scolpisce il legno grezzo, spesso utilizzando un tronco unico.
I suoi soggetti sono sempre persone comuni, gente dei nostri giorni, anonima, senza particolari caratteristiche. Gente che potresti incrociare per la strada, donne che lavorano, in gonna, uomini in camicia o, al limite, delle suore, tutti con visi che hanno connotati comuni, espressioni neutre, sguardi assenti e proprio per questo misteriosi.
È inutile ricercare in tutti questi soggetti un intento solenne. È la quotidianità colta nella sua essenza, catturata nel legno, con visibili i segni dell’intaglio, che lo scultore cerca di portare alla luce grazie al suo paziente lavoro di scalpello.
Eppure anche queste icone, per nulla sacre, riescono a dare un senso al suo lavoro. Fanno riflettere sull’epoca, sulla società in cui viviamo. Sta a noi interpretarle nel modo giusto. E se, per qualsiasi motivo – per primo la pigrizia – non lo facciamo, Balkenhol ci aiuta.
In una successiva fase della sua ricerca creativa dà a questi personaggi, sempre vestiti da uomini della nostra epoca, volti di animali. L’uomo orso, l’uomo gallo o l’uomo fenicottero. L’iperrealismo, che arriva al surrealismo, di questi lavori serve a scuotere l’osservatore dalla sua quotidiana tranquilla routine, propone mondi onirici, interpretazioni enigmatiche, senza alcuna, almeno apparente, velleità sarcastica o grottesca.
Non vi è drammaticità nella riproduzione totemica di questi uomini e donne scavati nel legno. Restano figure ieratiche, che ci ricordano seppure da lontano la nostra animalità e ci chiedono di interrogarci sulla nostra reale identità.
È vero che il legno sotto le mani di un artista diventa “esotico” per qualsiasi cultura, ma in più si ritrova sempre la sua essenza vitale. Il legno, infatti, respira, vive – e ne senti il profumo – non si può ignorarlo, anche quando viene lavorato.
Oltretutto, Balkenhol non rifinisce le sue opere. Le lascia grezze, evita di levigarle. Se lo facesse assumerebbero subito la funzione di oggetti decorativi, ornamentali, col rischio di ricadere nella banalità più bieca.
Balkenhol, le cui opere sono presenti in numerosi e prestigiosi musei del mondo (Hirschorn di Washington, Tate Gallery di Londra, Kunst Museum di Francoforte, National Gallery di Berlino, ecc.), chiede sempre uno sforzo di fantasia e introspezione al fruitore, un impegno ulteriore per imparare a guardarsi dentro attraverso queste figure umane che gli assomigliano, nelle quali può osservarsi e forse anche riconoscersi (o, addirittura, temere che succeda).
La mostra di Stephan Balkenhol presso la Galleria Monica De Cardenas in via Viganò 4, resterà aperta fino al 18 novembre.